di Sandro Roazzi

Su 66mila domande pervenute per la famosa Ape, ovvero la porta per il pensionamento di alcune categorie di lavoratori in condizioni di vari disagi, quasi 35mila provengono da lavoratori disoccupati. Una sorta di sanatoria che coglie un problema reale, ma fa anche capire i guasti sociali delle ultime affrettate riforme tagliacosti sulla previdenza che hanno ignorato il contesto economico incamminato verso una recessione assai profonda. Altra categoria di lavoratori molto numerosa è quella del cosiddetto lavoro precoce, anchʼesso penalizzato da automatismi che non tengono conto della realtà del lavoro. Sono le regioni del nord a fare la parte del leone, con lʼinclusione della Sicilia e lʼesclusione della Liguria. Altro segnale di una spaccatura sociale nel mondo del lavoro.

Negli ultimi tempi si è verificata intanto una situazione paradossale: da un lato i pensionati sono stati dipinti come dei...privilegiati da sistemi che li avrebbero visti lavorare poco in rapporto agli assegni previdenziali percepiti, incassare redditi da fare invidia, togliere futuro ai giovani. Poi invece si scopre che sono stati e sono perno insostituibile di famiglie altrimenti condannate alla indigenza, che una grande fetta di essi non arriva ai mille euro, che lʼassistenza prosciuga abbondantemente le casse dellʼInps e che la povertà dei giovani dipende dalle scelte compiute e che non privilegiano certo politiche attive del lavoro. Rimettere un poʼ dʼordine no? Ora si attende settembre per sapere se decollerà lʼApe volontaria. Per sapere se il sistema si possa avvalere di una maggiore flessibilità. Per ora i dubbi restano.

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