Rapporto sul mercato del lavoro in Umbria e in tutte le regioni italiane. Boom della disoccupazione nella regione, giù il lavoro delle donne. Ma il quadro, benché negativo, potrebbe non essere così drammatico come appare a prima vista. Ecco perché (sono allegate 7 tabelle)

Il Rapporto del settore Datajoirnalism di Mediacom043 è corredato da 7 importanti tabelle, che qui nonè possibile riportare. Chi volesse avere il rapporto completo, comprensivo delle tabelle, può richiederlo via mail a news-letter@mediacom043.it, oppure a giuscastellini@gmail.com

 

INTRODUZIONE

In questo Rapporto sul mercato del lavoro in Umbria, basato sui dati ufficiali Istat del 2017 (usciti di recente) e del 2016, partiamo prima dalle conclusioni, perché senza incrociare i vari risultati (occupazione, disoccupazione in senso stretto, disoccupazione allargata, inattivi e così via) la situazione dell’Umbria potrebbe apparire drammatica in rapporto all’andamento nazionale, mentre invece potrebbe essere ‘solo’ negativa. Il Rapporto è a cura del settore Datajournalism economia di Mediacom043, diretto da Giuseppe Castellini.

Partiamo dai dati pessimi. Il numero dei disoccupati in senso stretto (vedere tabella 2) in media d’anno, nel 2017 rispetto al 2016, in Umbria aumenta dell’11,4% (da 37mila 500 a 41mila 800, +4mila 300), mentre a livello nazionale cala del 3,5% (-105mila 500 disoccupati) e nel Centro fa 3,7% (21mila). Non solo, ma tutte le regioni italiane (vedere tabella 2) mostrano un calo del numero dei disoccupati e solo l’Umbria (appunto +11,4%) e Molise (+15,3%) evidenziano un incremento, peraltro molto forte. In altre parole, sul fronte dell’andamento della disoccupazione l’Umbria è la seconda peggiore regione d’Italia e il Molise la peggiore.

Il tasso di disoccupazione dell’Umbria (sempre tabella 2) sale dal 9,6% al 10,5% e, pur restando ancora sotto la media nazionale (11,2%), riduce consistentemente questo vantaggio, in un processo che avviene ormai da vari anni. Non solo, ma per la prima volta il tasso di disoccupazione dell’Umbria nel 2017 supera quello del Centro: ancora nel 2016 il tasso di disoccupazione era in Umbria del 9,6% e nel Centro del 10,4%, mentre nel 2017 i valori diventano 10,5% e 10%.

Un andamento certamente pessimo, perché aumentare di altri 4mila 300 disoccupati quando tutti gli altri li vedono scendere – a parte il Molise – è davvero un andamento pessimo.

Ma le cose per l’Umbria potrebbe non stare in modo così sconfortante. Sono certamente negative, con un andamento peggiore della media nazionale e di quella del Centro, ma non disastrose

Il segnale che fa pensare a uno scenario meno drammatico arriva dall’andamento del numero degli occupati, che nella regione secondo i dati ufficiali dell’Istat nel 20107 aumenta di pochissimo rispetto al 2016 (+0,2%, da 354mila 200 a 354mila 800), decisamente meno della media nazionale (+1,2%, +265mila occupati) e di quella del Centro (+1,1%, +55mila 400 occupati), ma non mostra il segno meno. Allora la questione è: come si mette insieme per l’Umbria il dato del forte incremento dei disoccupati (+11,4%) con la sostanziale stabilità del numero degli occupati (+0,2%)? In altre parole, da dove arrivano questi disoccupati?

Ecco da dove arriva in Umbria l’aumento dell’11,4% nel numero dei disoccupati (+4mila 300 nuovi disoccupati in senso stretto)

Per capire da dove arriva l’aumento dei disoccupati nel 2016 bisogna guardare il numero degli inattivi, che nella regione scendono da 168mila 400 a 162mila 100, con un calo di 6mila 300. Gli inattivi sono le persone non in pensione che non risultano né occupate, né disoccupate. Non sono disoccupate perché, per essere considerate tali dall’Istat (sulla base dei criteri Eurostat, così da rendere omogenei i dati sul mercato del lavoro in tutti i Paesi Ue), occorre possedere alcuni requisiti, tra cui quello di aver svolto, nel mese precedente la rilevazione, una ricerca attiva di lavoro. Ad esempio, se una persona è scoraggiata perché ha cercato lavoro più volte senza trovarlo e a questo punto neppure lo cerca più, non è considerata disoccupata ma appunto inattiva, cioè in età da lavoro ma non appartenente alle forze di lavoro. Poi ci sono coloro che vivono di rendita e non cercano lavoro, molte casalinghe non interessate a lavorare e così via. Fino appunto a contare in Umbria, nel 2017, 162mila 100 inattivi.

Che tale numero si sceso di 6mila 300 unità significa che un certo numero di queste persone ha iniziato, o reiniziato a cercare lavoro diventando quindi (o tornando ad essere) statisticamente disoccupate. Insomma, il forte aumento del numero dei disoccupati in Umbria nel 2017 non è derivato dalla riduzione degli occupati, ma dall’ingresso tra i disoccupati in senso stretto di un certo numero di persone che prima non lo cercavano.

 

Ma perché ci sono più persone che cercano lavoro, passando quindi da ‘inattivi’ (tra cui gli ‘scoraggiati) a disoccupati? Le tre ipotesi

La risposta sul perché, nel 2017, una parte degli inattivi umbri si sia messa a cercare lavoro è da trovare -e sarebbe bene che gli economisti lavorino su questo, così da capire cosa stia avvenendo davvero nel mercato umbro del lavoro.

Le ipotesi sono tre e la verità potrebbe essere la miscela di queste tre ipotesi.

1) Benché il numero degli occupati umbri nel 2017 sia rimasto pressoché stabile, un certo numero di inattivi vede più concreta la possibilità di avere un’occupazione e quindi entra nel mercato del lavoro, mettendosi attivamente a cercare un’occupazione che prima era considerata impossibile. L’ipotesi è plausibile. Perché, come confermato di recente da Unioncamere, ci sono segmenti dell’economia umbra in ripresa (a fronte di altri ancora in crisi) ed è da questi che sta arrivando, benché debole, un aumento della domanda di lavoro. Che fa percepire a segmenti di inattivi la possibilità di avere un’occupazione e li porta ad effettuare una ricerca attiva di lavoro.

2) La crisi prolungata fa sì che un certo numero di famiglie non ce la faccia proprio più e quindi membri del nucleo familiare che prima non cercavano lavoro si immettono sul mercato per cercare di portare a casa un qualche reddito. L’esempio, ma è solo un esempio, è quello di una famiglia in cui la moglie accudisce i figli e lo stipendio del marito finora è bastato ad andare avanti. Ma magari l’uomo finisce in cassa integrazione, o in contratto di solidarietà e le entrate familiari, pur avendo ridotto i consumi, non bastano più. A quel punto la moglie sacrifica la cura dei figli e si mette a cercare lavoro, sperando in un qualche reddito che faccia quadrare i conti familiari.

3) La terza ipotesi è che iin Umbria si senta l’effetto della ripresa in atto in altre regioni italiane, comprese due (Lazio e Toscana) delle tre limitrofe (nelle Marche le cose vanno ancora assai male), è invece più percepibile. E allora un certo numero di inattivi umbri si mette a cercare lavoro puntando sulla domanda di lavoro in quelle regioni. Diciamo così, è un lavoro di residenti umbri che non si concretizza in Umbria, ma altrove.

Certamente sono in azione tutte e tre le ipotesi contemporaneamente, ma al momento è difficile quale o quali siano le prevalenti.

 

Allora, da dati pessimi a dati accettabili?

Non è che l’incrocio di tutti i dati del mercato del lavoro offerti dall’Istat faccia passare l’Umbria da un quadro pessimo a uno accettabile. Piuttosto, si passa da un quadro pessimo a uno negativo. Perché comunque l’Umbria è tra le due regioni italiane in cui la disoccupazione in senso stretto nel 2017 aumenta e non di poco, i posti di lavoro non crescono o crescono di pochissimo (nel 2017 peggio dell’Umbria fanno solo 6 regione, vedere tabella 1) facendo assai peggio della media nazionale e di quella del Centro, l’occupazione femminile scende quando invece aumenta in tutte le circoscrizioni territoriali, il calo del numero di inattivi è comunque inferiore sia alla flessione media nazionale, sia a quella del Centro. Insomma non è certo un bel quadro quello che l’Umbria presenta, ma probabilmente non così pessimo come potrebbe apparire a prima vista.

Da rilevare, comunque, che nonostante tutto il tasso di occupazione resta in Umbria (62,9%), pur riducendo fortemente il divario positivo, superiore sia al dato medio nazionale (58%), condizionato dai dati pesanti del Mezzogiorno, sia - anche se proprio di un soffio - rispetto al Centro (62,8%).

 

Due ‘spigolatore’: l’andamento dell’occupazione femminile, in Umbria in calo mentre aumenta in tutte le circoscrizioni territoriali, e il tasso di disoccupazione ‘allargato’. Schizza in alto il tasso di disoccupazione delle donne, aumenta anche quella degli uomini

Per finire queste breve sintesi del Rapporto, ci sembra opportuno fornire due elementi ulteriori, tra i tanti che si possono trovare nelle 7 importanti tabelle allegate al Rapporto di Mediacom043.

Andamento dell’occupazione femminile e maschile Nel 2017, rispetto al 2016, i posti di lavoro delle donne in Umbria scendono (tabella 1A) dello 0,2%, da 156mila 800 a 156mila 500, mentre aumentano in tutte le circoscrizioni territoriali. Il decremento umbro è lieve, ma quello che va evidenziato è il segno meno, a fronte del segno più delle altre realtà. L’occupazione maschile in Umbria aumenta (+0,5%, da 197mila 400 a 198mila 400), ma solo circa la metà della media italiana e di quella del Centro (tabella 1A).

Da rilevare poi che, mentre il tasso di occupazione femminile (ossia quante persone lavorano sul totale delle persone in età da lavoro) umbro per la prima volta nel 2017 è inferiore a quello del Centro (55,1% contro 55,3%), quello maschile resta superiore (70,5% contro 69,9%).

Quanto al tasso di disoccupazione in senso stretto, in Umbria quello femminile tra il 2016 e il 2017 schizza dal 10,6% all’11,8%, superando quello del Centro (in calo dall’11,3% all’11%) che finora era risultato sempre più alto e avvicinandosi pericolosamente al tasso di disoccupazione medio femminile nazionale (sceso dal 12,8% al 12,4%), condizionato dalle elevate percentuali nel Mezzogiorno (vedere tabella 2A).

Male in Umbria anche il tasso di disoccupazione maschile, che sale dall’8,8% al 9,5%, mentre in Italia scende dal 10,9% al 10,3% e nel Centro dal 9,7% al 9,1% (tabella 2A).

Tasso di disoccupazione ‘allargato’ - Oltre al tasso di disoccupazione in senso stretto (che misura il peso delle persone statisticamente disoccupate sul totale delle forze di lavoro, date dalla somma di occupati + disoccupati in senso stretto), è bene considerare anche il tasso disoccupazione ‘allargato’. Ossia si considerano tra i disoccupati anche quelle persone che “non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare”. Tra questi ci sono gli ‘scoraggiati’.

In pratica, si toglie questa categoria, che l’Istat rileva con precisione, dagli inattivi e si mette nei disoccupati. Chiamiamo la somma tra disoccupati in senso stretto (per capirci, quello che cercano attivamente un’occupazione ma non la trovano) e le persone che “non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare” come Disoccupati 2. Il tasso di disoccupazione ‘allargato’ rappresenta quindi la percentuale dei Disoccupati 2 sul totale dell’aggregato formato dalla somma degli occupati + Disoccupati 2.

Per farla breve, il tasso di disoccupazione ‘allargato ‘ in Umbria scende (perché un certo numero di persone che prima “non cercavano lavoro ma erano disponibili a lavorare” nel 2017 si è messa cercare attivamente un lavoro e quindi sono diventate statisticamente disoccupate, come spiegato sopra) ma meno della media. I ‘disoccupati allargati’ calano nella regione, tra il 2016 e il 2017, da 69mila a 67mila (-2,9%), mentre in Italia la flessione è del 5,4% e il Centro fa -4,8%.

Il tasso di disoccupazione ‘allargato’ in Umbria passa così dal 16,3% al 15,8%, in Italia dal 21,6% al 20,4% e nel Centro dal 17,2% al 16,3% (vedere tabella 3).

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