Draghi, la crescita e i conti pubblici
di Sandro Roazzi
Lʼeconomia conserva nelle sue dinamiche suggestioni che non sempre vanno dʼaccordo con le pretese di razionalità. Si prenda il discorso di Draghi in Portogallo: invita alla prudenza, ma al tempo stesso valorizza i progressi nella crescita e "vede" lʼinflazione in movimento. Risultato sui mercati: balzo dellʼobbligazionario, le cui antenne sono quanto mai sensibili ai cambi di scenario ed euro più forte. In realtà, dunque, la cautela della Bce è lʼaccortezza di chi intende evitare il più possibile i contraccolpi inevitabili della fine del Qe (Quantitative easing), graduale quanto si vuole ma certamente un problema in più per le economia meno stabili (come la nostra). Non a caso si rispolverano le ricette per ridurre il debito pubblico, un terreno di confronto che nei prossimi mesi ha tutta lʼaria di tornare importante, proprio quando però lʼattenzione della politica italiana si concentrerà su messaggi di tipo elettorale. Promesse, promesse, promesse. Tanto è vero che talune ipotesi di soluzione, come quella di ‘congelare’ momentaneamente alcuni stock di titoli in possesso delle Banche centrali nazionali (una sorta di parziale consolidamento a termine), non è altro che il cercare un rimedio il più indolore possibile per la...spesa futura.
Ma i nodi stanno venendo al pettine e paradossalmente questo avvicinamento è favorito dal sopraggiungere di dati interessanti sulla crescita. Secondo lʼIstat, il primo trimestre del 2017 segnala un indebitamento netto della Pubblica amministrazione inferiore allo stesso periodo del 2016 ed attestatosi al 2,3% del Pil. Sale anche il reddito disponibile delle famiglie del 2,4%, ma la propensione al risparmio, molto pronunciata con un +8,5% si ‘mangia’ una buona fetta delle risorse destinate ai consumi pur se in modesto aumento.
Anche il saldo primario, tradizionalmente negativo agli inizi dellʼanno, mostra un andamento più confortante.
Colpisce invece la situazione fiscale, che spesso è spia di una composizione fra entrate ed uscite che nasconde risultati assai meno incisivi di quel che si sbandiera sui tagli di spesa.
La pressione fiscale sale al 38,9%, con un +0,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2016. Salgono dellʼ1% i contributi sociali, dellʼ1,8 le imposte dirette, del 3,1% le imposte indirette.
Se da lato di queste ultime si colgono miglioramenti probabilmente dovuti ai controlli (e pagamenti relativi) sullʼIva, dallʼaltro non può non creare interrogativi lʼaumento sostenuto delle imposte dirette. Frutto della lotta allʼevasione fiscale? Anche, ma non solo. E qui dovrebbe tornare dʼattualità una riflessione sulla necessità di rimettere in...equità lʼIrpef con una vera riforma. Finora lʼimpressione è che vada avanti per molte ragioni, silenziosamente, un riequilibrio fra imposte dirette ed indirette che vede inevitabilmente crescere il peso di Iva ed accise sul resto, mentre si scommette su ulteriori progressi nel contrasto alla grande evasione fiscale (in buona parte però...Iva) per quanto riguarda un’Irpef che resta invece sostanzialmente immutata nei suoi caratteri fondamentali.
È questa la direzione giusta? O ce ne sono altre in grado di assicurare un diverso e migliore livello di equità? A quando una discussione seria ed ampia su questo grande problema irrisolto? Ultima annotazione: crescono i contributi sociali, segno indiretto di una qualche vitalit del mercsto del lavoro. Ma proprio quel modesto segnale impone di ragionare su nuove politiche attive del lavoro, oggi assenti.
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