di Sandro Roazzi

Oggi i giovani stanno peggio degli anziani, stigmatizza il rapporto della Caritas sulla povertà. È sperabile che l’allarme resti nell’ambito del divario generazionale e non porti acqua ai fautori dello scontro generazionale. Nel caso della Caritas, però, questo rischio è da escludere. Certo che quasi un milione e trecentomila minori in stato di povertà è una macchia grave, di cui sono in molti a doversi assumere le responsabilità. Così come è inaccettabile che il numero di giovani che non studiano e non lavorano sia il più alto d’Europa, mentre sono quasi venti i punti di distacco fra la media della disoccupazione giovanile europea e quella italiana. Fa bene la Caritas a insistere sul disagio della condizione giovanile che non sembra riuscire ad andare oltre gli slogan nella politica e non vede, ora che la crisi è terminata, un impegno serio sul piano degli investimenti privati e pubblici in grado di ricreare spazi, opportunità, speranze reali.

Eppure la situazione sociale dei giovani nelle famiglie italiane sarebbe ancora più drammatica senza il concorso degli anziani a sostenere i bilanci familiari. Il nodo non tanto di tipo generazionale, ma piuttosto della mancanza di politiche attive del lavoro e di progetti strutturali che finora non si è riusciti a mettere in campo credibilmente. La Marcegaglia, nel vertice svedese della Ue sulle politiche sociali, “sconsiglia” nuovi interventi legislativi europei, riflettendo quel sentimento imprenditoriale negli ultimi anni che poggia solo su richieste, allo Stato ed ai sindacati. Di conseguenza una modernizzazione del welfare viene concepita esclusivamente come una zavorra nei confronti delle imprese che, per la Marcegaglia, va evitata nel modo più assoluto. Resta però del tutto ignota la disponibilità delle imprese ad affrontare con senso di responsabilità le questioni lasciate aperte dalla recessione: disuguaglianze, basse retribuzioni, investimenti al minimo. Temi non da poco, ma sui quali le associazioni imprenditoriali fanno orecchie da mercante.

Ma forse nella pesante crisi della condizione giovanile gioca anche un ruolo non secondario, specie in Italia, l’eclissi di valori condivisi e la riorganizzazione delle società in modo tale da fornire modelli di comportamento che non esaltino la violenza, non riducano il valore della vita ad un incidente di percorso, non immiseriscano l’importanza della formazione culturale a vantaggio delle chimere del successo effimero e per pochi, dell’individualismo, del cinismo.

Negli anni del secondo dopoguerra l’Europa si ricostruì anche perché offrì alla giovani generazioni di allora non solo opportunità lavorative, ma valori che davano anche la possibilità di battersi per una società migliore. Oggi, in tempi di radicali mutamenti, latita per colpa prevalente delle classi dirigenti proprio questo retroterra, una casella mancante che conta, conta sempre di più.

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