di Giorgio Cremaschi

 

Uno dei danni collaterali provocati dal lungo dominio instupidente del pensiero unico liberista, è stato la costruzione di un finto marxismo che copre un pensiero reazionario.

Già nel Manifesto del 1848 Marx ed Engels avevano dedicato qualche riga sprezzante al “socialismo reazionario”, cioè a coloro che respingevano la globalizzazione capitalista nel nome dei vecchi valori reazionari, Dio Patria Famiglia. Costoro imbrogliavano i lavoratori condannando il loro sfruttamento per opera della borghesia capitalista, perché rimpiangevano quello ordinato e rispettoso del feudalesimo. Ma, aggiungevano Marx e Engels, appena questi propugnatori del socialismo reazionario si giravano, “sul loro deretano comparivano i simboli feudali”.

A coloro che con una interpretazione padronale della concorrenza tra lavoratori nativi e migranti, spiegano che anche Marx avrebbe messo muri all’immigrazione per difendere i salari, lo stesso Marx aveva già risposto nella sua lettera a Vogt del 1870, sull’odio degli operai inglesi verso gli immigrati irlandesi. Marx scriveva che gli operai inglesi accusavano quelli irlandesi di far loro concorrenza spietata al ribasso, imputavano a loro il calo delle paghe..e così diventavano ostaggi dei loro padroni. “Questo antagonismo viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo...” Sembra scritto oggi e del resto Marx paragonava questo conflitto a quello negli Stati Uniti appena usciti dalla guerra civile, ricordando che là i bianchi poveri odiavano e consideravano loro nemici prima di tutto i neri, appena emancipati dalla schiavitù.

Marx,Engels e tutta la Prima Internazionale appena costituita avevano assunto un posizione nettissima nella guerra di secessione: sostegno radicale e militante all’Unione contro la Confederazione degli stati del Sud. L’abolizione della schiavitù era considerata un obiettivo fondamentale della lotta per la liberazione di tutto il mondo del lavoro, perché come avrebbe poi scritto nel Capitale, “l’operaio bianco non può pensare di liberarsi se quello nero è in catene”.

Marx ammirava Lincoln e lo criticò aspramente solo per le incertezze iniziali nella guerra civile e nell’abolizione della schiavitù.

Marx ignorava che dietro lo scontro negli Stati Uniti ci fosse quello tra due fazioni del capitalismo, quello industriale e bancario del Nord, protezionista, e quello agrario schiavista del Sud, liberista? Certo che no, ma Marx non era un economista da salotto, o da talk shaw oggi. Egli era prima di tutto un rivoluzionario che voleva cambiare il mondo. E per lui ogni movimento di vera emancipazione umana spingeva tutti gli altri. Il lavoro salariato non poteva pensare di liberarsi in un’isola di relativo privilegio, circondata dal mare della schiavitù. E la lotta degli schiavi serviva anche a chi era relativamente più libero. Queste erano le basi fondanti del “marxismo” di Marx, una teoria che accompagnava le lotte reali e che si alimentava con esse, perché “ il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.

Di fronte al fatto che negli ultimi decenni la sinistra occidentale, nella sua grande maggioranza, ha abbandonato la critica al capitalismo e la questione sociale, rifugiandosi in una difesa delle libertà civili separata da quella dei diritti sociali e del lavoro, c’è stato chi ha colto l’occasione per rimettere in discussione le libertà civili stesse.  Il basta con l’ipocrisia borghese che afferma libertà che poi finiscono appena cominciano gli affari, è diventato basta con quelle libertà. Come si è visto Marx non avrebbe avuto dubbi su che parte scegliere. Avrebbe sicuramente denunciato l’ipocrisia borghese e quello che lui chiamava il filisteismo della sinistra, ma avrebbe anche preso a calci nel sedere e bollato come reazionario chi, in nome dei diritti sociali, negasse quelli civili. Una distinzione che per Marx aveva poco senso, anzi era figlia proprio dei limiti delle rivoluzioni borghesi, quella americana e francese in primo luogo. Per Marx non c’è vera libertà se non sono liberi dallo sfruttamento gli operai, tutti gli operai e gli sfruttati, non solo quelli bianchi.

Il marxismo rivoluzionario, prima di tutto con Lenin, si è sempre considerato erede e realizzatore dei principi della rivoluzione francese, non certo negatore di essi. E la lotta contro l’oppressione di razza e di sesso, accanto a quelle di classe, è sempre stata per esso fondante di ogni processo di emancipazione umana.

Si può rifiutare Marx e il suo pensiero, ma non è accettabile che lo si usi contro sé stesso. Come disse Bertold Brecht, si deve lottare contro il potere dei banchieri, ma se poi si aggiunge contro quello dei banchieri ebrei cambia tutto. E si passa dal campo della liberazione umana a quello dell’oppressione.

Certo che oggi Marx non avrebbe dubbi nel giudicare Biden una pura espressione del potere capitalista. Ma questo non lo farebbe indulgere nemmeno un secondo dal disprezzare e combattere Trump, espressione del capitalismo perdente e reazionario, come i padroni dei campi di cotone e di schiavi nel suo secolo. E soprattutto Marx starebbe con i movimenti reali che nella società cercano di cambiare le cose, e come nel suo secolo sostenne con entusiasmo l’impresa di John Bown, che considerò un martire del socialismo, oggi Marx starebbe senza se e senza ma con Black Lives Matter.

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