Riqualificazione delle aree urbane dismesse, l'aiuto arriva dalle piante
Di Armando Allegretti
PERUGIA - In gergo internazionale sono le “brownfields” ma le conosciamo tutti come aree industriali dismesse. Oggi si trovano ad avere un ruolo importante nello scenario urbano, questo perché riguardano luoghi di alto valore e di infrastrutture importanti e soprattutto perché fanno parte di un patrimonio di grande rilievo, capace di attrarre su di se investitori pronti a trasformare tali aree da luoghi fatiscenti a vere e proprie perle all’interno della città.
Ebbene, il rivoluzionario progetto presentato stamani in Provincia prevede la riqualificazione di aree dismesse e inquinate mediante l’uso di sistemi vegetali.
Un programma predisposto dall’Arpa in collaborazione con gli istituti del Cnr per la ricerca delle acque (Irsa), con l’istituto di biologia Agro ambientale e forestale e con l’Università degli studi della Tuscia.
Durante l’incontro è emerso che con questo innovativo progetto si otterrà la bonifica delle aree contaminate, il ripristino ambientale, la riduzione delle emissioni di Co2 (utilizzando la biomassa come fonte di energia), tutto questo con costi estremamente contenuti e tecnologie semplici.
Certo è che la salute e il rispetto dell’ambiente sta a cuore ai promotori del progetto, infatti l’assessore all’Urbanistica Carlo Antonini ha spiegato che oggi la responsabilità sulla qualità ambientale deve riguardare tutti ricordando che: “sulla base del protocollo di Kyoto è nata una direttiva europea secondo la quale le aziende che inquinano devono risarcire l’ambiente con l’impianto di vegetali”.
Avendo a disposizione molte aree urbane dismesse, piantando dei vegetali particolari si possono abbattere o diminuire gli inquinanti. Si tratterebbe quindi di una vera e propria rivoluzione per il territorio, cercando anche di predisporre una mappatura dei siti dove sarà possibile compiere questo lavoro di risanamento.
Esempi utili per comprendere gli interventi possibili per un risanamento territoriale sono stati esplicati a conclusione dell’incontro da Angelo Massacci, studioso del Cnr, il quale ha riportato alcuni casi di utilizzo di piante per contrastare l’inquinamento: basti pensare a Porto Marghera dove si sta compiendo con successo, attraverso la piantagione di pioppi e salici, l’eliminazione di metalli pesanti, o a Roma, dove, attraverso l’utilizzo di vegetali e batteri, in soli due anni, è stato dimezzato l’inquinamento di sostanze che in genere perdurano nell’ambiente anche per 30 anni.
Siamo giunti dunque alla ricerca di una “città verde”, un luogo simbolo del cambiamento del paesaggio verso una dimensione urbana più attenta ai valori dell’ambiente nel tentativo di ristabilire gli equilibri ecologici di aree sottoposte nel corso degli anni ad uno stress ambientale insostenibile.
Mercoledì
13/07/11
16:49
SI tratta sicuramente di un contributo interessante che merita di essere approfondito e preso in considerazione dagli enti locali. Sicuramente il risanamento e recupero delle aree produttive dismesse attraverso l'uso di vegetali ad alto fusto (la cosidetta forestazione urbana) presenta aspetti interessanti sia sul piano della riduzione dell'inquinamento che della qualità ambientale. Sarebbe tuttavia una semplificazione ed una sottovalutazione del problema non misurarsi con l'indisponibilità fondiaria delle aree (si tratta infatti, specie nel caso di aree produttive/industriali dismesse, di aree quasi sempre di proprietà privata) la cui acquisizione, in questo particolare contesto economico (e relativa criticità di bilancio degli enti pubblici), non risulta agevolmente percorribile. Certamente tale specifica condizione non deve rappresentare un disincentivo alla promozione ed al sostegno della riqualificazione "verde" della città; casomai un incentivo ad individuare proposte innovative e complesse che sappiano coinvolgere risorse economiche private e proprietà fondiaria in un processo co-partecipativo con l'ente pubblico