di Giorgio Cremaschi

Se in una vasca ci sono tre buchi, due si tappano alla bell’è meglio e uno resta aperto, l’acqua continuerà a uscire da lì. Tutte le chiacchiere e i pasticci del Palazzo attorno all’articolo 18 si fermano sulla soglia della reintegra per il licenziamento economico. Lì il governo mantiene ferma la sua posizione: anche se il licenziamento economico è ingiusto non si rientra al lavoro. Come è evidente a tutti, ancor di più a coloro che fingono, questo è sufficiente per garantire la piena libertà di licenziamento. Soprattutto in un momento di crisi come questo. E’ evidente infatti che se mettiamo assieme i dati sulla recessione, la crescita della disoccupazione, la caduta dei mercati della produzione, basterà la sola minaccia del licenziamento economico per indurre le lavoratrici e i lavoratori a contratto a tempo indeterminato ad accettare qualsiasi condizione di supersfruttamento.

La libertà di licenziamento economico rende ridicola l’affermazione che bisogna estendere i contratti a tempo indeterminato. Questi ultimi, infatti, diventano a termine più degli altri. In fondo, se vengo assunto con un contratto a termine c’è l’obbligo per chi mi assume di mantenermi fino alla scadenza. Con il licenziamento economico il contratto a tempo indeterminato può scadere in qualsiasi momento, appena ci sono delle difficoltà dell’azienda oppure una ristrutturazione, oppure un cambio di reparto, oppure un cambio di mansione. Cioè, il contratto a tempo indeterminato, diventa un contratto precario come tutti gli altri. Questa è la sostanza della decisione che il governo è andato a vendere in Europa e nel resto del mondo, presentandola, giustamente, come una misura che rende il lavoro ancora più mercificato. Berlusconi lo diceva gualche anno fa nel suo modo volgare. Venite a investire in Italia che c’è il lavoro più flessibile e le segretarie più carine. Monti, sobriamente, dice le stesse cose.

Nello stesso tempo l’Europa, nei suoi documenti riservati, ci dice che cento miliardi di tagli alla spesa pubblica e sociale, nonché di tasse in più, probabilmente non basteranno, vista la recessione. Dunque la crisi è destinata a continuare, proprio a causa della politica economica del governo Monti e degli altri governi europei che continuano a perseguire a tutti i costi l’austerità. Come abbiamo detto nella manifestazione di Milano e come dobbiamo ribadire in tutti i modi, Monti se ne deve andare. Dobbiamo mandarlo via perché il suo programma è socialmente catastrofico e proprio per questo, se perseguito, produrrà con una terribile reazione a catena le ragioni di altri interventi dello stesso segno. Quello che è successo in Grecia, dove più hai tagliato, più hai dovuto continuare a tagliare. Bisogna quindi cominciare a fermarli, e facciamolo allora sulla controriforma del lavoro.

Partiamo da qui. Smascherando il colossale imbroglio della volontà di licenziamento, che chiude il ciclo iniziato con l’innalzamento a quasi 70 anni dell’età pensionabile. Il 13 aprile Cgil Cisl e Uil portano in piazza gli esodati truffati dal governo. Ma se passerà la controriforma del lavoro saremo tutti esodati o esodabili. Chi non sarà più coperto dalla mobilità e dalla cassa integrazione, dovrà arrangiarsi con un anno, un anno e mezzo di indennità di disoccupazione. A questi si aggiungeranno coloro che saranno licenziati uno per uno per ragioni economiche. Coloro che continueranno a subire il ricatto dei 46 contratti precari che resteranno tutti, ma proprio tutti, in vigore. Sì, questo governo affronta la crisi con i licenziamenti e, con buona pace di quanto afferma lo stesso Presidente della Repubblica, così aggrava la crisi invece che risolverla. Per questo dobbiamo continuare a scendere in piazza finché non se ne va.

Fonte: Rete 28 aprile

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