“Oggi con lui salutiamo uno degli ultimi protagonisti della lotta antifascista, della costruzione della Repubblica e della ricostruzione di Perugia e dell’Umbria”

di Fabrizio Bracco

Per i più giovani Francesco Innamorati era il vecchio partigiano invitato spesso nelle scuole della regione a ricordare la Resistenza oppure il vecchio esponente politico che interveniva, con grande passione, per richiamarci ai valori dell’ antifascismo e alla coerenza dei comportamenti. Per qualcun’ altro era anche il padre (descritto come un padre ingombrante e rompiscatole, ma amatissimo) della indimenticabile amica Serena Innamorati.  Ma Francesco, oggi scomparso, nel corso della sua lunga vita è stato uno dei principali protagonisti della politica e della cultura, della nostra regione e soprattutto di Perugia per oltre la metà del secolo scorso. Per le sue origini familiari (il nonno paterno era stato un grande penalista, professore dello Studium perugino e deputato liberal-democratico nel 1914 mentre il bisnonno materno era quel Francesco Guardabassi, capo degli insorti del 1859 e, dopo l’unità senatore del regno) e per le sue scelte ideali e politiche, ha rappresentato il collegamento tra l’ epopea risorgimentale raccontata dal gran libro del Bonazzi (di cui non a caso il fratello  Giuliano, è stato il curatore) e l’esperienza della sinistra e soprattutto del Partito comunista, che a Perugia  ha avuto caratteri originali, ricercando sovente una ideale continuità con la tradizione democratica e popolare del Risorgimento perugino. Tratto comune con quello che fu un po’ il maestro di tanti comunisti perugini, Aldo Capitini. Francesco Innamorati aderì alla lotta antifascista grazie a una sua maturazione culturale, avvenuta sulla base di incontri e di letture, ma soprattutto per le intense frequentazioni con il gruppo di giovani e di intellettuali, che si erano raccolti intorno a Capitini. Sono note, perché ne ha parlato molte volte, la sua esperienza nel lavoro clandestino, la partecipazione alla lotta armata e poi, una volta liberata Perugia, come volontario nel Gruppo di combattimento “Cremona”, meritandosi una decorazione al valor militare. Queste esperienze lo segnarono profondamente, come dimostra l’azione di testimonianza alla quale si è dedicato nell’ultima parte della vita. Ma soprattutto voglio ricordare il dirigente politico che, eletto consigliere comunale del PCI a ventuno anni, rinuncia agli studi storici e alla carriera accademica, si laurea in Giurisprudenza, finendo per fare l’avvocato per potersi impegnare meglio nella lotta politica e nell’amministrazione cittadina, prima come assessore e poi come vicesindaco con il sindaco Seppilli fino al 1964.  Ben diciotto anni in cui Francesco contribuisce, da una parte, alla costruzione del partito nuovo di Togliatti, liberandosi lui stesso a contatto con i problemi quotidiani dei cittadini di un certo estremismo giovanile, e dall’altro alla ricostruzione della città dopo la tragedia della guerra e nel pieno della crisi economica e sociale degli anni Cinquanta. Nei sei anni della Giunta Dc-PSI, 1964/1970 fu il capo dell’opposizione. E furono gli anni delle prime grandi lotte operaie e studentesche, anni in cui seppe dimostrare attenzione per i grandi mutamenti in atto nel paese. Eletto nel primo Consiglio regionale, ne fu il vicepresidente e oltre a contribuire alla redazione dello Statuto della Regione Umbria, coordinò le celebrazioni per il trentennale della Liberazione, promuovendo iniziative e studi per diffondere la conoscenza della storia recente dell’Umbria, fino ad arrivare alla costituzione dell’Istituto per la storia dell’Umbria dal Risorgimento alla Liberazione (oggi Isuc) e del Centro di studi giuridico-politici. Qui si manifesta pienamente quell’idea della politica, che condivideva con molti della sua generazione e che derivava dalle letture gramsciane. Una politica che non poteva essere disgiunta dalla memoria del passato e dalla conoscenza delle dinamiche economiche, sociali e politiche. La mancata ricandidatura nel 1975 e il progressivo allontanamento da incarichi istituzionali furono vissuti con amarezza da Francesco, come racconta con grande sincerità nelle sue “Confessioni di un nonagenario”, un recente vivacissimo libretto autobiografico.  Non per questo però cessò il suo impegno politico. Gli anni Ottanta abbiamo militato insieme nella sezione di Borgo XX giugno del PCI, e qui Francesco non faceva mai mancare il suo contributo, a volte critico, al dibattito politico, all’approfondimento, ma anche a quella militanza pratica fatta di distribuzione dell’“Unità”, di propaganda porta a porta, di promozione di incontri nel quartiere.  Cioè era tornato (o era diventato) un militante di base, che con grande umiltà e generosità si metteva a disposizione dell’idea e del partito che erano stati, per lui ragazzo, una scelta irreversibile di vita. Ha vissuto con partecipazione tutte le vicende successive: la scomparsa del PCI, la divisione della sinistra, la nascita prima del PDS/Ds e poi del Pd, ma, per quanto sentisse molte di quelle scelte inevitabili, si sentiva sempre più lontano da un presente che non riconosceva. Anche se, continuando a testimoniare la sua straordinaria storia e quella della sua generazione, in questo presente finiva per essere pienamente immerso.

Oggi con lui salutiamo uno degli ultimi protagonisti della lotta antifascista, della costruzione della Repubblica e della ricostruzione di Perugia e dell’Umbria. Un militante politico animato da un inarrestabile anelito di libertà e da un profondo amore per la democrazia (come tanti protagonisti del nostro Risorgimento), ma, come direbbe lui stesso con linguaggio gramsciano, sempre attento alle condizioni di vita e alla  riscossa delle ‘classi subalterne’, senza la quale libertà e democrazia sono costantemente in pericolo.  E per questo era un comunista italiano.

Ciao Francesco!

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