I perchè del no allo Statuto
Di Matteo Minelli*
PERUGIA - In questi giorni si sono avvicendati commenti sapienti da parte di “giornalisti” e rappresentanti degli studenti, che critici nei confronti delle voci del dissenso intorno allo statuto ne sottolineano l’infondatezza. A loro avviso ricercatori, movimenti, associazioni studentesche, giovanili di partito che all’unisono hanno preso le distanze dall’approvazione sarebbero nel migliore dei casi dei sognatori incapaci di confrontarsi con la realtà, nel peggiore degli ignoranti che neppure hanno letto il testo dello statuto e fanno solo opera di demagogia. Per questo ad oggi riteniamo opportuno entrare nei dettagli del nostro no.
Innanzitutto partiamo dalle modalità di stesura dello statuto: la commissione non ha mai reso pubblici i verbali delle sedute, in sostanza impedendo a tutte le componenti universitarie di informarsi sullo svolgimento dei lavori. Questo grave atto, è sintomo della scarsa trasparenza con cui vengono gestiti dei processi fondamentali della vita dell’ateneo. Processi che dovrebbero caratterizzarsi per partecipazione e limpidezza sono invece coordinati e indirizzati da una ristretta oligarchia. I rappresenti degli studenti, mentre a parole manifestavano il loro dissenso verso tale scelta, di fatto continuavano a partecipare alle sedute, prendendo parte così a processi gestionali verticali e privi di alcuna limpidezza. Un serio segnale di protesta sarebbe potuto essere l’abbandono, quantomeno momentaneo, dei lavori in corso; gli avremmo dato atto di avere quel coraggio di cui invece hanno sempre deficitato. Ancora oggi nessuno, tranne noi, ha suggerito la necessità di convocare un’assemblea d’ateneo per confrontarsi con gli studenti ed eventualmente indire un referendum di conferma.
Passando ai contenuti dello statuto. Una premessa merita il cosiddetto Codice Etico; si parla letteralmente di “doveri nei confronti della struttura di appartenenza” . Non vorremo che esso da strumento per proteggere l’ateneo da abusi e discriminazioni si trasformi in un escamotage per controllare il dissenso, in particolare tra docenti e ricercatori, nei confronti della gestione dell’Università.
Veniamo agli organi di governo dell’Ateneo. Innanzitutto il mandato del rettore, sebbene non rinnovabile, risulta a nostro avviso eccessivamente lungo; sei anni, di fatto senza alcun controllo, vista la tipologia di composizione degli organi, rappresentano un lasso di tempo utile a consolidare il potere e perseguire una gestione autoreferenziale della politica universitaria.
Gli eletti dalla componente studentesca in tutti gli organismi hanno mandato biennale mentre quelli votati dai docenti restano in carica tre anni, così come quelli di nomina rettoriale. La rappresentanza studentesca nel Consiglio d’Amministrazione è pari a quella designata direttamente dal rettore, che però non possiede alcuna legittimazione democratica diretta. Il rinnovo delle cariche studentesche avviene ogni due anni, mentre gli eletti e nominati delle restanti componenti restano in carica per un mandato triennale. Ora risulta incomprensibile e totalmente antidemocratico che i nominati siano parificati agli eletti nel numero e per di più abbiano anche un incarico di durata maggiore.
La componente studentesca si ferma al 20% dei membri nel Consiglio d’amministrazione e nel Senato Accademico, mentre scende al 15% nei consigli di Dipartimento. Riteniamo che non sia affatto sufficiente, non ci pare normale che trentamila studenti, che attraverso le tasse mantengono in piedi tutta la struttura universitaria , e al tempo stesso con i propri consumi fanno muovere l’economia di una intera città, debbano essere parte largamente minoritaria negli organi di rappresentanza. Sappiamo bene che alla base di tale iniquo sistema vi sono le indicazioni imposte dalla riforma, tuttavia crediamo che si poteva fare molto di più.
In testa la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane , che al di la di opportunistiche e lamentele, avrebbe dovuto bloccare l’iter procedurale della stesura dei nuovi statuti. Mentre a Perugia e in altri atenei, le imposizione della riforma sono state recepite mantenendo inalterato il sistema obsoleto e oligarchico di governo dell’università. Nel corso degli anni i rappresentanti degli studenti di tutti i colori politici hanno sempre giustificato i loro insuccessi e le limitate vittorie, sostenendo che i rapporti di forza all’interno degli organi di gestione dell’ateneo non permettevano loro di ottenere maggiori rivendicazioni.
E quindi risulta incomprensibile il fatto che abbiano avallato per l’ennesima volta un assetto istituzionale in cui il parere degli universitari non è vincolante in alcun organismo. Il risultato è quello che gli studenti si troveranno ad essere una maggioranza silenziosa all’interno del mondo universitario, mentre saranno una minoranza afona nelle istituzioni. Simile la sorte dell’altra componente storicamente “debole” quella dei ricercatori , anch’essa penalizzata fortemente in termini di rappresentanza e impossibilitata ad incidere nelle decisioni strategiche. Non riusciremo mai a costruire un’università moderna, capace di offrire servizi avanzati ed elaborare un prodotto scientifico all’avanguardia, se non daremo maggiore peso decisionale alle uniche componenti capaci di indirizzarci verso il futuro.
*Giovani Italia dei Valori Umbria
Martedì
18/10/11
11:16
Gentile Minelli,
mi permetto di intervenire (ancora, cfr. il commento all'intervento di Fratini di qualche giorno fa...) perchè anche nel suo intervento (come in quello di Fratini) l'unica questione che pare avere davvero rilievo per gli studenti è quale percentuale di rappresentanza è stata (o non è stata) assicurata ai rappresentanti degli studenti negli organi di ateneo. E così si continua con la prassi per cui: i rappresentanti degli studenti si occupano della rappresentanza degli studenti, i rapp. TIA della rappresentanza dei TIA, etc... etc...
Se si continua a ragionare in questi termini, è difficile prendersela col "sistema", se quest'ultimo seguita a strutturarsi ed agire sul consenso dei micro interessi (dei rappresentanti delle varie "categorie").
Così si fa solo ed esclusivamente quel gioco lì; e a quel gioco lì chi comanda sono altri, e sanno giocare molto meglio degli studenti, e di chicchesia...
Martedì
18/10/11
11:22
Soprassedendo circa l'italiano....
Appare chiaro che rivendicazioni del genere indicano come sia completamente fuori dal mondo la componente in questione... maggioranza nelle sedi di rappresentanza? benvenuti ad utopia.
In relazione alla questione sollevata sul bene generale, in molti casi tale bene generale non è stato perseguito dalle altre rappresentanze sempre a scapito degli studenti, ergo ritengo assolutamente valido il fatto che la rappresentanza studentesca abbia agito per difendere gli interessi degli studenti, anche perchè dietro a richiesta di bene generale si nascondono ben altri interessi. penso che si potesse fare di più ma quanto è stato fatto è buono.
Mercoledì
19/10/11
10:19
Gentile Ponti,
Comprendo il messaggio che vuole mandare e in larga parte lo condivido. Credo che dividere le componenti universitarie sia sbagliato. E noi certamente non intendiamo farlo. La questione che vogliamo affrontare è più generale: riteniamo fallimentare dal punto di vista scientifico ed economico il progetto portato avanti dal gruppo di potere che attualmente gestisce l'università. Noi questa research university non la vogliamo, perché equivale ad una contrazione della popolazione studentesca,al ridimensionamento delle facoltà umanistiche, alla diminuzione dell'offerta formativa, e in conseguenza di ciò, alla riduzione di docenti e del personale amministrativo e soprattutto a meno consumatori nella nostra città.
Sul problema della rappresentanza abbiamo solo sottolineato come non possa essere sbandierata come una vittoria l'attribuzione del 15-20% dei seggi alla componente di maggiore peso, non solo dal punto di vista numerico,ma anche da quello economico.
Caro Chiappini,
Lascio perdere le provocazioni anche se meriteresti risposte degne del tuo atteggiamento. Non credo di essere utopista quando dico che gli studenti dovrebbero avere maggiore potere decisionale, per un unico semplice motivo: sono loro a pagare le tasse, peraltro sempre più salate, che fanno stare in piedi l'università e sono loro a produrre ricchezza mantenendo in vita locali ed esercenti del centro storico. Resto attonito di fronte al fatto che il sindacato, il cui unico compito dovrebbe essere tutelare gli universitari, faccia sempre trattative al ribasso; poi però mi ricordo di come avete sempre avvalorato ciecamente le scelte delle istituzioni e dell'amministrazione comunale indipendentemente dalle loro conseguenze sulla popolazione studentesca. Nessuno di noi dimentica come in prima linea abbiate sostenuto il terzo mandato del rettore piegandovi a logiche completamente estranee all'Ateneo.In questi anni avete saputo soltanto propagandare vittorie di Pirro mentre vi piegavate all'ennesimo compromesso di bassa lega. Noi vivremo anche nel paese di Utopia però voi vivete a Consociativopoli e noto anche vi sentite a vostro agio.
Matteo Minelli
Mercoledì
19/10/11
10:51
Una volta il sindacato faceva il sindacato. Oggi in Umbria la CGIL è soltanto al servizio del PD, che va ricordato a tutti non ha più nulla del PCI, è solo il partito del potere. I loro figliocci nell'università iniziano presto a sministrare a quanto pare....
Mercoledì
19/10/11
14:49
Meno consumatori nella nostra città? Gentile Matteo, ma si è reso conto che molto del calo alle iscrizioni nell'Ateneo di Perugia, è derivato dal fatto che le famiglie del sud Italia non hanno più i soldi per mantenere i loro 'pargoli' agli studi, a Perugia? Preferendo le sedi universitarie locali e, sicuramente, meno dispendiose rispetto a Perugia?
La qualità dell'insegnamento e della ricerca, devono andare di pari passo, l'una è al servizio e complementare all'altra. Non credo molto che la 'research university' sia uno 'spettro' che danneggia la didattica e gli studenti, anzi!
In un mondo globalizzato e interconnesso, un Ateneo che nei ranking nazionali e internazionali della ricerca ha posizioni di livello alto, può attrarre studenti anche dall'estero. La research university non è niente di trascendentale, tutto il sistema universitario internazionale funziona con questi obiettivi.
Io sarei felice di potermi iscrivere in un Ateneo, pubblico, i cui professori sono noti a livello internazionale per la loro ricerca. Sarei orgoglioso di poter imparare da loro. E devo dire, che quando l'ho frequentata io l'Università di Perugia (venti anni fa), ho trovato una formazione adeguata e che mi ha garantito gli strumenti per 'combinare' qualcosa di buono nel mio mestiere..
A due ore di distanza da Perugia, Ancona, l'Università Politecnica delle Marche si caratterizza, ad esempio, da anni per queste politiche.
Non confondiamo ciò che all'estero è la regola, con qualcosa che può apparire una novità. Perché questo vuol dire che, forse, fino ad ora non stavamo marciando con lo stesso passo per gli altri.
Un inciso sulle materie umanistiche.
Fino ad ora la ricerca e la formazione umanistica è stata ed è una delle eccellenze italiane nel mondo. Quindi chiedere al mondo universitario della formazione umanistica, maggiori sforzi per 'farsi conoscere' nel mondo, è anche una questione di prestigio e orgoglio nazionale. Visto che l'Italia e gli italiani non sono, solo, quelli che vengono derisi o insultati sui giornali.
E soprattutto non lo sono, ne sono certo, giovani studenti come lei ed i suoi colleghi. Siamo sicuri che l'offerta formativa non sia eccessiva o non sia, propriamente, adeguata alle esigenze del mercato nazionale e internazionale? Ormai anche nel settore del lavoro bisogna guardare in un'ottica internazionale, per cui, giocoforza, se per certi profili l'Italia (a volte colpevolmente) non offre lavoro, bisogna trovarlo all'estero, oppure adattarsi a fare quello che offre il convento.
Di sicuro, credo che professori, ricercatori, studenti siano tutti sulla stessa barca. Una barca che deve veleggiare sempre più lontano, perché è grazie i professori devono essere stimolati dall'energia dei giovani e i giovani, devono guardare al futuro, considerando che l'università offre (o deve offrire), non solo il sapere, ma quel metodo di approccio alla disciplina che permette di 'costruirsi' la propria università, anche fuori le aule accademiche.
In questa fase 'ricostruttiva' del paese, è meglio studiare, studiare, studiare, anche 5 libri in più (quando per superare l'esame ne basterebbero 3). Perché solo l'energia dei vent'anni, permetterà di affrontare quei cambiamenti nel pensiero e negli stili di vita, ormai obbligati per uscire dalla crisi. Buono studio!