di Claudio Conti

Sorpresa! Sulla “riforma” del mercato del lavoro non c'è l'accordo, e la Cgil decide per lo sciopero generale.

Il governo andrà in Parlamento per ottenere l'approvazione di un disegno di legge delega che lo autorizza a scrivere la “riforma” secondo le “linee guida” già presentate alle parti sociali. Su cui ha raccolto un “consenso di massima” da tutte le parti sociali, meno la Cgil. E un Parlamento di “nominati” non farà mancare il suo assenso. Mica si tratta della Rai o del reato di concussione...

La divisione sindacale non era facilmente prevedibile e molto, nei giorni scorsi, aveva lasciato pensare che anche la Cgil di Susanna Camusso stesse avvicinandosi a una soluzione “dolorosa ma necessaria”, facendo aperture persino sull'art. 18 (sui licenziamenti “per motivi economici”). Sembrava dunque che avesse, come si usa dire, “strappato” qualcosa di sostanzioso al governo, mettendo sul piatto un diritto fondamentale indisponibile. Uno scambio a perdere, è vero, ma non insolito nella prassi sindacale.

Invece niente. Camusso non aveva niente in mano. E ciò nonostante aveva “concesso” uno scassinamento delle tutele dai licenziamenti. È una constatazione che solleva parecchi dubbi sulla “competenza contrattuale” di questo panzer fin qui capace di manovrare quasi soltanto all'interno della sua confederazione, contro le diverse “sinistre”. Fuori dalle mura amiche, insomma, il “generale Camusso” si dimostra un fuscello che gli interlocutori prendono per i fondelli.

La sua reazione stizzita, nella tarda serata di martedì, è figlia di una scoperta per lei dolorissima: il sindacato non è più un “soggetto politico” di cui il capitale sovranazionale voglia tenere conto. Cisl e Uil hanno rinunciato da tempo, disponendosi a ricoprire un ruolo da “sindacato di mercato”; ossia da anello di congiunzione tra ufficio del personale e reparti di produzione. La Cgil fin qui è rimasta invece a metà del guado: “riformista”, ma con “pretese rappresentative”. Quindi ancora orientata a “pesare” con il proprio parere sulle scelte economiche, ossia sul governo reale del paese.

Incapace di staccarsi dal ruolo guadagnato nella lunga stagione della “concertazione”, ma altrettanto inorridita dall'ipotesi di tornare a un ruolo conflittuale.

Ma non poteva firmare la sua “morte in vita”. E quindi ecco che Camusso riscopre il linguaggio della mobilitazione, addirittura “di lungo periodo”. Ma anche lo scopo non sembra difficile da capire: inchiodare il Pd alle sue responsabilità, spingendolo a operare – in sede parlamentare – per ottenere quelle “modifiche” che non è riuscita ad ottenere con il “confronto”. Esplicito il passaggio in cui dichiara che la Cgil è pronta a «sostenere chi in Parlamento vorrà cambiare la proposta» illustrata dal governo alle parti sociali.

Mobilitazione sì, dunque, anche se pronta a fermarsi al primo “risultato utile”, da poter rivendere sul mercato della comunicazione.

E invece qui dobbiamo prendere innanzitutto atto che per il movimento dei lavoratori – tutto intero – si entra dell'era “dopo Cristo” inaugurata da Marchionne. Anche se, sul piano dei rapporti di forza reali e nelle condizioni contrattuali, si tratta di un passaggio all'indietro, all'”avanti Cristo”. Salta non solo la "concertazione", ma anche il "patto sociale" - e costituzionale - che ha tenuto insieme l'Italia dal dopoguerra in poi. Un salto storico verso il buio, perché certi strappi - alla lunga - generano contraddizioni più violente di quel si era riuscito fin qui a "governare concertando". Certo, il vantaggio immediato per il capitale è innegabile. Ma oltre il breve orizzonte, le cose - necessariamente e per loro stessa natura - cambiano.La cancellazione operativa dell'art. 18 implica il silenzio del singolo lavoratore in ogni posto di lavoro. È questo che svuota il sindacato di qualsiasi peso contrattuale e politico, perché non si può “rappresentare” chi non ha la forza di esistere. Lo si è visto in questi 15 anni di precarietà legalizzata: la condizione “atipica” non è riuscita ancora oggi a trovare una forma organizzativa, una modalità di resistenza dentro e fuori i luoghi di lavoro, un comun sentire esistenziale tale da trasformare la solitudine in forza collettiva. In “peso” sociale e contrattuale, quindi politico.

È il tema da mettere al centro per ogni sindacato conflittuale, perché questa è la “nuova normalità” su cui o si riesce a costruire conflitto, oppure – banalmente – si scompare.

Fonte: contropiano.org

Condividi