di bnc

PERUGIA - Non era mai accaduto in passato che la piccola Umbria, forse un tempo isola felice anche per l'occupazione, sia in realtà una delle regioni in Italia a più alto rischio di disoccupazione e di impoverimento del tessuto industriale. Dove si rischia di perdere in un solo colpo qualcosa come 20mila lavoratori tra aziende in crisi e il loro indotto. Uno tsunami che è ben visibile se si prendono le 20 maggiori vertenze simbolo dell'Italia stilate dalla Cgil nazionale per rilanciare le ragioni dello sciopero generale del 6 settembre. 

Tra queste ben tre sono umbre alla faccia di chi, con la passione statistica, afferma sempre che l'Umbria rappresenta nel bene e nel male appena l'1,5 per cento del dato nazionale. In questo caso con tre grandi vertezze diventa la Regione del Centro Italia a maggior rischio sociale ed occupazionale.

Ecco le tre vertezze umbre

Basell - Punto focale della crisi della chimica in Umbria, la multinazionale Lyondell Basell ha aperto da oltre un anno una crisi che mette a rischio il lavoro di 150 operai in cassa integrazione e ormai prossimi al licenziamento. Centinaia poi i posti che gravitano nell'indotto. Si susseguono le proteste e i blocchi negli stabilimenti ternani per scongiurare la dismissione degli impianti.

Gruppo Antonio Merloni - I commissari straordinari dell'azienda avrebbero restituito la caparra di 2 milioni all'azienda iraniana Mmd, che avrebbe dovuto rilevare gli stabilimenti. I lavoratori coinvolti sono 2.350, più qualche centinaio di piccole e piccolissime imprese dell'indotto. Sarebbero in corso contatti con altri imprenditori, ma non ci sono certezze nell'immediato.

Thyssenkrupp - La multinazionale dell'acciaio ha confermato l'intenzione di procedere allo scorporo dell'area inox, ma non sono ancora chiari tempi e modalità. La decisione avrebbe effetti diretti sullo stabilimento di Terni e sulle prospettive occupazionali dei suoi circa 3.000 lavoratori.

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