di Armando Allegretti

PERUGIA - Violenze, soprusi, vessazioni e minacce, questo è quanto riferito ad Umbrialeft e quanto è stato depositato presso i legali che al momento si occupano del caso. In effetti - riferiscono - è notizia di poco fa che è stata depositata dagli avvocati la prima denuncia di un ragazzo protagonista della storia. La comunità degli orrori, così come definita in seguito al servizio andato in onda su Le Iene, torna a far parlare di se e torna a lasciare sospesi degli interrogativi. Molti interrogativi.

Umbrialeft, in contatto da tempo con la signora Claudia, la volontaria che ha denunciato più e più volte a gran voce quello che accadeva in alcune case accoglienza, ha deciso di raccontarvi delle storie, storie di vita vissuta e che hanno come protagonisti gli ospiti ( a volte “prescelti”) di queste strutture.
La nostra è stata una lunga chiacchierata. Dalla quale sono emerse delle situazioni a dir poco surreali e a cui molti stenteranno a credere.

La conversazione inizia più o meno così. “Sono Claudia, vivo a Perugia e sono volontaria di un gruppo di mutuo auto aiuto (AMA ZONE n.d.r.) che si occupa di tossicodipendenza e nel 2007 ho conosciuto un ragazzo di nome G. che mi ha raccontato di essere stato agli arresti domiciliari in una struttura (gestita da il prete accusato al momento di molestie sessuali n.d.r) che a differenza delle altre che non ricevono ospiti con patologie come la tossicodipendenza e la psichiatria, per mancanza di personale, questa accoglie indiscriminatamente qualsiasi persona: dal detenuto agli arresti domiciliari al povero, dal malato mentale al tossicodipendente.”

E da qui il primo dubbio. Come è possibile che il responsabile riesce a portare nelle sue strutture persone dal carcere o dal reparto psichiatrico di Perugia non essendo una struttura non è di tipo rieducativo? E soprattutto “come è possibile – ha chiesto a noi sbigottita – che i responsabili sono dei semplici volontari o ospiti stessi che vengono scelti tra i residenti e ai quali viene detto chi controllare e come farlo?”.

Ma continuiamo. “Sono stata informata – continua – che molti ragazzi all’interno della struttura subivano una realtà di condizionamento e un vero e proprio plagio mentale che trovava culmine in una serie di molestie e attenzioni sessuali che Don (…) riservava agli ospiti della struttura, in particolare a stranieri senza permesso di soggiorno, ovviamente più ricattabili degli altri, poiché la loro permanenza dipendeva da un semplice si o no del responsabile”.

“Sono venuta a conoscenza anche grazie a quanto raccontato dagli ospiti – ci dice – di alcune persone che hanno cercato di scappare, altre che sono state ricoverate per lesioni e altre ancora che hanno perso fino a 30kg in tre mesi, e infine di altre che sono riuscite a scappare all’estero ma che paura di ritorsioni ora hanno paura di parlare”.

E questa è la storia di G. che ci ha raccontato Claudia, la volontaria che da allora non ha smesso di battersi per far luce sulla questione. Ma ci ha raccontato altro, altre storie di altre vite con in comune la sfortuna di essere affidate a queste comunità.

“Ho conosciuto E. e N. – ci dice – padre e figlio originari del Kossovo, ospiti della struttura di Don (…) per 8 anni, bisognosi di cure a causa di malattie legate ai conflitti della loro terra; il padre usato per lavori in diverse Case Caritas e il figlio lasciato solo in quel contesto promiscuo che si respira nei centri d’accoglienza. E come se non bastasse il bimbo veniva usato come testimonial per la raccolta fondi della struttura e presentato come “piccolo martire” risorto grazie a Don (…). Ricordo anche che il bambino, pur essendo mussulmano, veniva obbligato a frequentare l’ora di religione imposta”

La seconda domanda, lecita, parte dalla dichiarazione di Claudia: “tra i lavori svolti dal padre anche quello di occuparsi delle persone provenienti dal reparto psichiatrico, senza che ne avesse la qualifica, tanto è vero che una volta venne minacciato con un coltello da un paziente e che lamentandosi dell’accaduto venne successivamente minacciato dal responsabile di esser buttto in strada e di lasciare la comunità senza suo figlio”.

Allora ci chiediamo come è possibile gestire la situazione senza le qualifiche necessarie e non essendo abituati al rapporto medico-paziente?

Altra storia è quella di D. racconta Claudia “camerunese, arrivato in Italia con l’illusione di giocare al calcio, per poi ritrovarsi in strada e dopo aver chiesto aiuto alla Caritas di Perugia è stato mandato nella struttura di Don (…) e che durante quel periodo è stato testimone di violenze sessuali ripetute. Non ha voluto aggiungere altro.”

La storia di F. è diversa “cubana con figlia al seguito che è riuscita a fuggire di notte, perché terrorizzata dalla violenza con cui Don (…) una volta ruppe una vetrata iprecando contro una ragazza a causa del suo abbigliamento succinto”.

W. italiano con moglie e figli. “Arrivato dal carcere alla struttura – riferisce Claudia – è rimasto li un anno, obbligato a lavare le lussuose macchine di amici laici e non di Don (…), nascondeva i giornali usati per pulire i vetri delle auto nei pantaloni per rimanere informato di ciò che accadeva fuori, nel mondo”.
Terza domanda a cui i responsabili a questo punto sono obbligati a rispondere: quanto c’è di rieducativo in una struttura del genere, nel privare gli ospiti di qualsiasi contatto con il mondo esterno?

Ma non solo ospiti, anche volontari esterni hanno frequentato queste strutture, e vuoi per disperazione, vuoi perché obbligati da qualcun altro hanno dovuto abbandonarle e dedicarsi ad altro.
E’ la storia di F. sociologo e volontario che “ha prestato servizio – dice Claudia – nella struttura e ha raccontato di aver riscontrato negli ospiti patologie infettive, tra cui l’HIV, non trattate farmacologicamente e inserite in contesti senza regole sanitarie di sorta. A tal proposito ha fatto diverse relazione che però non sono mai state firmate dal responsabile Don (…) e quindi non sono mai state presentate all’ASL”. “Ha quindi lasciato la struttura – conclude – a causa delle incomprensioni e della situazione insostenibile. Poco dopo è stato fatto bersaglio di atti vandalici tra cui l’incendio della sua abitazione in zona”. Casualità?

A conclusione della chiacchierata fatta Claudia ci ha dato un’altra informazione “il responsabile delle strutture di cui abbiamo parlato, (anche la stessa S.F…) è stato ospite lui stesso, prima di prendere i voti, di una comunità perché era tossicodipendente. Inoltre mi è stato raccontato di un giro enorme di soldi nonché di alte amicizie si del mondo ecclesiastico e laico grazie alle quali non è soggetto a controlli all’interno delle sue strutture”.

Dall’incontro, da quella chiacchierata, da quel momento in poi, storia dopo storia la signora Claudia ha conosciuto un mondo malvagio, è stata minacciata e querelata, ha chiesto una mano nella sua battaglia, qualcuno l’ha accolta, altri no. Umbrialeft, nel suo piccolo, ha voluto denunciare ancora una volta il problema, nella speranza che le domande poste trovino delle risposte quanto prima.

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Intanto pochi minuti fa è arrivata la conferma che "Lo studio legale Avv. Alessandro Fratini e Abogado Federico Mazzi comunica che su mandato di uno dei ragazzi apparsi nei servizi delle Iene Show, hanno depositato denuncia querela in data odierna presso la Procura della Repubblica di Perugia, al fine di esperire l’azione penale sui fatti e circostanze narrate nel servizio televisivo".

 

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