PERUGIA - “Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove province nell’ambito di una Regione sono stabiliti con Legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione. La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro Circoscrizioni e denominazioni”. Così recita l’articolo 133 della Costituzione italiana, ma sembra non esser venuto in mente a nessuno dell’Esecutivo in carica, sostiene il segretario del Prc Stefano Vinti, visto che si decide di cambiare l’assetto delle autonomie locali per decreto sic et sempliciter.

Poco importa quindi che la Costituzione indichi cammini ben diversi, con processi che coinvolgono anche le altre istituzioni locali. La cancellazione delle Province “fa saltare o rimette fortemente in discussione la stessa struttura regionale del paese” (G. Pegolo. Liberazione, 24 agosto 2011). Se non è questo un attacco alla Costituzione e quindi alla democrazia, ci vengano a spiegare di che si tratta. Non reggono le motivazioni apportate finora dell’inutilità delle funzioni delle Province o in nome della necessità di risparmio. Siamo invece di fronte, come opportunamente sostengono nella lettera aperta il Presidente della Provincia di Perugia Guasticchi ed il capogruppo del Pd in Provincia Rasimelli, “ad un vero e proprio attacco ai governi locali, all’idea del decentramento amministrativo e dell’autogoverno delle popolazioni”.

E c’è dell’altro. L’articolo 15 del decreto 138 non prende minimamente in considerazione le esigenze del territorio, come se coi numeri si risolvessero i problemi. Cosa vuol dire 200.000, 300.000 o 400.000. Cosa importa se i Kmq siano 3.000 o 2.900. Parliamo di risorse naturali, orografia, infrastrutture, vocazione economica, se proprio non vogliamo parlare di cultura, tradizioni ed identità, che invece ricoprono un ruolo fondamentale nella vita di un territorio. E’ cioè necessario un esame attento che prenda in considerazione tutte le caratteristiche di una provincia e la sua eventuale funzione specifica.

Tra le proposte indicate nella lettera Guasticchi-Rasimelli, afferma Vinti, sono certamente condivisibili l’idea di una rapida riforma delle autonomie locali, l’istituzione delle Città Metropolitane, con conseguente abolizione delle province che insistono in quelle aree. Mentre per l’Umbria è assolutamente opportuno il confronto già avviato tra Province e Regione sulla riforma endoregionale e sulla rilettura delle competenze delegate dalla Regione alle Province. Ferma restando la assoluta contrarietà alla eliminazione della provincia di Terni, che metterebbe in seria discussione l’esistenza stessa dell’Umbria. In sostanza: le due province non si toccano. Anzi va salvaguardato il loro ruolo di coordinamento di area vasta e di ente intermedio tra Comuni e Regione.

D’accordo, quindi, con Guasticchi e Rasimelli che riprendono l’augurio espresso da un autorevole costituzionalista come Valerio Onida “che si riapra subito un serio dibattito sul destino delle province meno segnato dalla retorica dell’antipolitica e più ispirato, invece, da una maggiore capacità di affrontare i problemi con razionalità e realismo”.
 

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