di Giorgio Cremaschi

 

È tornato lo spread, è tornata la Germania, sono tornati rigore ed austerità.

Sembravano scomparsi da questa penosa campagna elettorale. Le principali forze politiche, dopo aver governato assieme per più di un anno, appena iniziato lo spettacolo televisivo del voto, se ne erano dimenticate. Sembrava una villeggiatura, quelle dove si cerca di staccare dalle preoccupazioni quotidiane. Magari una villeggiatura a Cortina visto che si parlava solo di tasse.

Forse si sperava che questa vacanza dalla realtà durasse fino al 27 febbraio, invece è finita prima.

Non sono solo le vendite di tappeti in saldo di Berlusconi, lo scandalo della banca senese, le incertezze per il senato a far ripartire la cosiddetta sfiducia dei mercati.

 

Il regime politico informativo oggi dominante, anch’esso in vacanza sulle Alpi, oggi fa lo scandalizzato, ma è colpevole come i partiti della grande finzione e ancora una volta depista dalla realtà. Che è molto semplice e brutale: la crisi economica si è aggravata e si aggraverà in Italia e in tutta Europa e i mercati lo sanno.

Il numero reale di disoccupati nel nostro paese sfiora i cinque milioni. Decine di migliaia di studenti universitari mancano all’appello, eppure la lotta alla disoccupazione di massa e la catastrofe della pubblica istruzione non sono entrate nello spettacolo elettorale. Non è un caso.

Centrodestra e centrosinistra hanno governato, assieme ora e nel passato in alternanza, sulla base degli stessi principi liberisti di fondo. Hanno approvato la controriforma delle pensioni e dell’articolo 18, il pareggio costituzionale di bilancio e il fiscal compact. Cioè hanno già definito i capisaldi di una politica economica di rigore e massacro sociale che ha prodotto la depressione economica più grave dagli anni trenta del secolo scorso. Non solo, ma si sono impegnati a continuarla, al di là delle battute elettorali.

 

L’ultimo voto attuativo del pareggio di bilancio c’è stato alla Camera a fine dicembre scorso ed è stato unanime.

Con buona pace di Vendola, ha ragione Bersani quando afferma che nella carta dei principi di Italia Bene Comune tutto il centrosinistra è impegnato a rispettare i patti che sanciscono rigore ed austerità.

Il governo assieme a Monti è dunque una concreta possibilità alla luce del sole dei programmi di fondo, e non degli accordi sottobanco. Bersani e Monti sono destinati a governare assieme perché così vogliono lo spread e chi lo governa.

La dimenticanza di disoccupazione e scuola non è dunque solo frutto di una rimozione, ma ha qualcosa di consapevole.

Con i vincoli che si sono assunti non c’è alcuno spazio per creare davvero lavoro dignitoso o finanziare la formazione pubblica. Non ci sono i soldi, meglio parlare d’altro finché si può.

 

O forse è peggio ancora, cioè si preferisce non dire cosa si farà davvero per mantenere i patti che si sono sottoscritti, altre manovre e altri tagli sono rinviati a dopo il voto.

Certo che sarebbero necessarie invece elezioni verità. Si sarebbe dovuto chiedere ai cittadini di scegliere tra la continuità della austerità e del rigore, con i costi sociali che comporta, o la rottura con essa.

Un vero scontro tra via liberista e di mercato e via pubblica ed egualitaria per affrontare tare la crisi, questo sarebbe servito, questo sarebbe stato un segno di vera democrazia, un confronto elettorale utile.

Ma questo scontro avrebbe frantumato i principali schieramenti e messo in crisi i loro gruppi dirigenti e, nel paese del trasformismo e del “ma anche”, sperare questo per ora è una pura utopia.

Così Bersani Monti e Berlusconi sono andati avanti a litigare sulle spese della villeggiatura, finché la brutalità della crisi li ha interrotti.

E hanno anche il coraggio di chiedere il voto utile, utile a che?

 

Fomte: micromega

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