di Gigi Bori *Coordinatore regionale Sinistra Ecologia Libertà
 

PERUGIA - Penso che la cosa più sbagliata, in questa situazione, sia quella di fare finta di niente. Eppure, è questo l’atteggiamento che il Partito Democratico Umbro continua a tenere di fronte alla questione morale. E lo fa disattendendo pure le indicazioni della sua Direzione e del suo Segretario Nazionale che continuano a parlare di “diversità politica” : una formula usata per dire che chi è indagato e ha incarichi pubblici deve fare un passo indietro.

Qui in Umbria, invece, il gruppo dirigente del Pd fa solo passi avanti, infischiandosene delle inchieste giudiziarie di Perugia e di Terni che coinvolgono illustri esponenti del proprio partito. Ad oggi non si è aperto nessun dibattito interno nè al Pd, nè alla maggioranza di centrosinistra. Dibattito che, per onestà, salvo noi di SEL, non è stato richiesto nemmeno dagli altri alleati. Eppure questa poteva essere una occasione per rinnovare profondamente il Centrosinistra umbro negli uomini e nelle politiche.
Eppure la svolta è necessaria.

Siamo in mezzo ad una crisi economica senza precedenti. E siamo di fronte ad un attacco diretto alle condizioni di vita, ai diritti dei lavoratori e alla democrazia sindacale, come lo sciagurato accordo del 28 giugno scorso tra Confindustria e CISL – UIL - CGIL sta a dimostrare.
Nella nostra regione hanno chiuso fabbriche importantissime come la Merloni, la Basell e la Trafomec. Strutture produttive che difficilmente riapriranno.

La grande impresa è ormai un ricordo (Tyssen Krupp docet). Ma è l’intero complesso della struttura economica regionale che soffre maledettamente. Ci sono, infatti, tante altre aziende che chiudono i battenti o sono in forte difficoltà, in ogni angolo della regione. E c’è un governo della cosa pubblica che diminuisce servizi e prestazioni e aumenta a dismisura tasse, tariffe e tributi.

Il centrosinistra non può più stare a guardare; ha il dovere di intervenire, anche in questa drammatica situazione, anche in Umbria, per progettare un futuro diverso e non “fare finta”.
Per fare questo occorre che si cambi radicalmente la mentalità di amministrare. Bisogna chiudere con il sistema di potere che in questi ultimi 15 anni ha caratterizzato il governo della cosa pubblica. Bisogna farla finita con una prassi che concettualmente usa il denaro pubblico come fosse una disponibilità privata.
Se si accetta questa svolta si può riorganizzare e ottimizzare la struttura operativa pubblica e si possono abbassare in maniera notevole i costi della politica, per liberare risorse significative da destinare al rilancio economico, a dare risposte concrete alle migliaia di precari, al miglioramento delle prestazioni e dei servizi e ad uno sgravio fiscale per i meno abbienti (purtroppo in costante crescita).

Voglio portare un esempio per tutti: la sanità. Noi sosteniamo che in una regione piccola come la nostra una Asl sia più che sufficiente. Prevederne due su base provinciale non sarebbe uno scandalo. Ma gli atti concreti del Governo Regionale vanno invece in direzione della conservazione. Non è un caso che abbiano perso mesi a discutere sui criteri di nomina dei direttori (criteri che fra parentesi hanno sconfessato il giorno dopo con provvedimenti di riconferma o di commissariamento) e nemmeno un giorno sulla possibile riorganizzazione del settore (nonostante l’ufficializzazione dell’esponenziale crescita della mobilità passiva e la contrazione di quella attiva; cioè, in sintesi, la sanità umbra sarebbe un’eccellenza, ma sempre più umbri vanno a curarsi fuori regione e sempre meno “esterni” si rivolgono al nostro sistema sanitaria).

“Va bene così” ha detto Riommi e anche chi si pronuncia per la riduzione delle Asl lo fa col trucco. E’ il caso della proposta del capogruppo del Pd Locchi che prevede, sì due sole strutture sanitarie, ma mantenendo in piedi un accrocco organizzativo territorialmente diffuso che, di fatto, costituisce un semplice escamotage per tenere in piedi gli attuali carrozzoni e poter continuare a garantire voti e potere a singoli, cordate e correnti.
Non possiamo più permetterci gli attuali costi della politica si dal punto di vista etico che finanziario. Ed è irresponsabilmente pericoloso avanzare proposte, che “fanno finta”.
Chi chiede sacrifici deve essere il primo a farli e a farli in misura maggiore degli altri.

Un'altra idea del pubblico è invece possibile. Bisogna osarne la speranza.
Basterebbe realizzare un piccolo programma in dieci punti che si potrebbe intitolare “NON CI POSSIAMO PIÙ PERMETTERE”:
1) le Province con la pletora di enti di secondo grado che girano loro intorno (Comunità Montane, Ati, Atc, consorzi, commissioni varie, ecc.);
2) i vitalizi per consiglieri regionali e trattamenti di buonuscita per loro, Presidenti di province e Sindaci beneficiari;
3) indennità troppo alte e non in linea coi parametri europei e occidentali;
4) decine di aziende pubblico–private che si occupano di acqua, rifiuti e servizi vari con tanto di Presidenti, C.d.A. e tutto il resto;
5) quattro Asl e due Aziende ospedaliere;
6) le norme sulle presidenze dei Consigli e sugli assessorati esterni che, in pratica, raddoppiano le spese di questi organismi, senza apparenti vantaggi operativi;
7) spese di rappresentanza e di funzionamento degli organismi istituzionali e politici sovradimensionate (parlo delle segreterie delle Giunte e dei gruppi, delle consulenze non giustificate da esigenze reali, del moltiplicarsi delle riunioni di Consigli e Commissioni con lo scopo evidente di aumentare il numero dei gettoni e arrivare al massimo consentito dalla legge, macchine blu, macchine bianche, ecc.);
8) incarichi esterni assegnati con compensi faraonici a dirigenti “pensionati” di vari Enti, pur in presenza di competenze adeguate all’interno degli organici degli stessi Enti;
9) gli attuali apparati apicali pubblici con decine e decine di dirigenti inutili che succhiano risorse importanti alle necessità operative degli Enti;
10) le ricche pensioni riconosciute agli ex assessori regionali, anche se non eletti.

Chi si divertirà a fare i conti dei risparmi ottenuti con questo programma (ma non è questo il tempo dell’utopia concreta? Se non ora quando?), potrebbe scoprire che si libererebbero fondi cospicui per mettere in piedi un “Progetto Umbria” di rilancio economico, di sostegno alla sua vocazione ambientale e turistica (permanentemente in affanno) e al mantenimento di livelli alti di welfare soprattutto per le famiglie più bisognose e maggiormente colpite dalla crisi.
Progetto che ha un solo obbiettivo : dare lavoro e aiutare chi non ce la fa.
Ma non dovrebbe essere questa la vocazione della sinistra?

Perugia, 30 luglio 2011

*Coordinatore regionale Sinistra Ecologia Libertà
 

Condividi