PERUGIA - In occasione della giornata mondiale contro la pena di morte, sabato 8 ottobre il gruppo di Perugia di Amnesty International organizza una staffetta di lettura di brani/testimonianze contro la pena di morte.

L’appuntamento per chi vuole partecipare alla staffetta leggendo un brano o vuole semplicemente assistere, è alle ore 17.00 in Piazza della Repubblica a Perugia.

Durante la serata verranno raccolte delle firme a sostegno della petizione per chiedere la fine della pena di morte in Bielorussia. La petizione è stata lanciata dall’ong bielorussa Viasna. Le firme raccolte saranno consegnate dai suoi rappresentati al presidente Lukashenka il 10 dicembre 2011, anniversario della Dichiarazione dei diritti umani.

Amnesty International è membro fondatore della Coalizione mondiale contro la pena di morte che è stata creata nel 2001 e raccoglie oggi più di 120 organizzazioni provenienti da tutto il mondo.

La Giornata mondiale contro la pena di morte è stata celebrata per la prima volta il 10 ottobre del 2003. Da allora, il 10 ottobre è diventato un’importante pietra miliare per tutto il movimento abolizionista.

Per la Giornata mondiale del 2011, Amnesty International ha scelto di focalizzare l’azione sulla pena di morte come forma di tortura in quanto ultima punizione crudele, inumana e degradante. Amnesty International ritiene che la pena di morte sia una violazione dei diritti umani: rappresenta l’ultima punizione inumana, crudele e degradante e viola il diritto alla vita.

In molti paesi la pena di morte viene imposta spesso in seguito a processi iniqui dove le “confessioni” estorte sotto tortura sono ammesse come prova a carico degli imputati. La tortura è proibita dal diritto internazionale. Le denunce di tortura devono essere sottoposte a indagini indipendenti e appropriate; coloro che hanno commesso atti di tortura devono essere portati davanti alla giustizia; e le vittime di tortura devono ottenere un risarcimento.

In circostanze specifiche, il tormento di essere rinchiusi nel braccio della morte, le condizioni di detenzione e il segreto che circonda l’uso della pena di morte sono stati considerati dai principali organismi e meccanismi delle Nazioni Unite come trattamenti crudeli, inumani e degradanti, i quali sono proibiti anche dal diritto internazionale.

In Cina, Leung Guoquan, un commerciante di pesce, è stato sottoposto a ripetuti atti di tortura per mesi, fino a quando non ha “confessato” la sua colpa. È stato processato con l’accusa di essere a capo di un’organizzazione criminale impegnata nel contrabbando e nel traffico di droga, in seguito a un procedimento iniquo, basato esclusivamente su deposizioni di testimoni che, da allora, hanno ritrattato le loro dichiarazioni o sostengono di essere stati torturati.

L’uso di “confessioni” estorte sotto maltrattamenti, tortura o inganni come unico elemento per comminare una condanna a morte è motivo di diffusa preoccupazione in Arabia Saudita. Suliamon Olyfemi, nigeriano, è stato condannato a morte dopo un processo iniquo condotto interamente in arabo, una lingua che non conosce, senza provvedere alla presenza di un interprete o alla traduzione del procedimento. Alcuni dei suoi co-imputati hanno dichiarato di essere stati torturati e maltrattati durante l’arresto e la detenzione nel tentativo di costringerli a confessare il reato.

In Bielorussia, ai prigionieri nel braccio della morte viene detto loro che saranno messi a morte appena pochi istanti prima del momento in cui la sentenza sarà eseguita. Sono uccisi con un proiettile sparato dietro la nuca. I loro corpi non sono mai restituiti alla famiglia e il luogo di sepoltura è segreto.

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