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Cassandra Wilson, o meglio la diva Cassandra, schiva e irraggiungibile come tutte le dive, una delle più affascinanti voci che il jazz abbia mai conosciuto, sarà la protagonista del concerto di lunedì 14 all'Arena Santa Giuliana di Perugia. Ma etichettarla sotto la categoria jazz sarebbe alquanto riduttivo. Nella sua ultraventennale carriera la divina voce di Cassandra ha esplorato le atmosfere più disparate: da quelle del jazz, appunto, fino al rock, al folk, al country, al soul, alla bossanova e all'hip hop. Con un posto di riguardo per il grande repertorio di standard americani, il great american songbook. Scrittrice dalla gran penna è anche interprete raffinata di mostri sacri come Bob Dylan, Robert Johnson e Miles Davis (vedi uno degli ultimi lavori come “Travelling Miles”). Da neanche un mese Cassandra Wilson è tornata sulle scene con “Loverly” (Blue Note), ovvero il ritorno, venti anni esatti dopo “Blue skyes”, ad un altro disco di soli standards (solo “Arere” è farina del sacco di Cassandra). Dodici tracce registrate in appena sei giorni a Jackson, Mississipi, sua città natale: un ritorno fisico e musicale a casa. Intorno a lei un gruppo di amici-musicisti e pochissimo sound engineering per un disco quasi in presa diretta, il che dona al tutto un tocco di freschezza e immediatezza in più. Un lavoro d'insieme, frutto dell'alchimia (qualcosa che c'è o non c'è) che si registra tra tutti i membri della band, ovvero Marvin Sewell alla chitarra, Jason Moran al piano, Herlin Riley alla batteria, Lekan Babalola alle percussioni e Lonnie Plaxico al contrabasso (con in più ospiti di tutto riguardo come il bassista Reginald Veal e il grande trombettista Nicholas Payton). Tra le tante cose da sottolineare riguardo a quest'album, l'importanza che riveste in genere la sezione ritmica, in particolar modo il percussionista nigeriano Lekan Babalola, le cui sfuriate poliritmiche imfiammano pezzi come l'ellingtoniana “Caravan”. Vitalità e gioia di vivere sprizzano da tutte le tracce dell'album. Anche in quelle all'apparenza più dark come “St. James Infirmary” and “Dust My Broom” . Fino a quel piccolo gioiello rappresentato da “Wouldn't it be loverly”, title track dell'album che altro non è se non una splendida rilettura di quel capolavoro scritto per “My fair lady”. Cassandra Wilson che si fa un po' Eliza Doolittle. Sarà la suggestione di immaginarli a suonare in questa casa di Jackson, ma ascoltando e riascoltando il lavoro, sembra quasi che la band sia proprio lì, nel salotto di casa tua. E questo sì, sarebbe decisamente loverly. Condividi