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Non poteva esservi sviluppo meno auspicabile del dibattito congressuale di quello cui stiamo assistendo: all’indomani di una sconfitta storica per il nostro partito, si è avviato un percorso non di ricostruzione di una comunità profondamente ferita, ma di distruzione dell’esperienza comune. Un comportamento che si può rivelare nefasto per il partito per due ragioni: poiché questo clima carico di livore rischia di compromettere la gestione unitaria e il futuro del partito stesso successivamente alla fase congressuale, e perché minaccia di disperdere quanti in questi giorni si stanno avvicinando per la prima volta o riavvicinando dopo molti anni alla nostra comunità.Un dibattito congressuale animato da quegli elementi da cui sempre la nostra cultura politica ci ha portato a diffidare: leaderismo, personalismo, dicotomia schmittiana amico/nemico, per la quale tutto ciò che è altro deve essere annientato. Si è giunti persino a stravolgere e caricaturizzare le posizioni altrui, andando oltre la lettera dei documenti congressuali, in un atteggiamento farsesco e infantile. Un dibattito congressuale che nella sostanza sta svilendo il percorso compiuto a Venezia, laddove le pratiche della nonviolenza e dell’ascolto dell’altrui opinione, principi fondanti le relazioni del nostro partito con i movimenti, paiono oggi essere sconfessati dalla ottusa sordità degli atteggiamenti e dalla crudezza violenta dei toni emersi in questa logica di scontro tra schieramenti. Un dibattito congressuale che interiorizza i vizi del maggioritario e insinua la tanto deprecata logica del voto utile, in cui i documenti principali si scontrano per ottenere quella maggioranza assoluta che garantirebbe loro un ruolo esclusivo ed escludente nell’indirizzo delle politiche del partito. Un dibattito congressuale vuoto e semplificato, nel quale ci si accapiglia su questioni terminologiche, chiedendo agli iscritti di schierarsi per una federazione o una costituente solo sulla base di una scelta fonetica, formale, senza tratteggiare per quali contenuti, forme e metodologie questi processi debbano caratterizzarsi. Un dibattito congressuale che non può che aggravare quella separatezza tra politica e società, che ha fatto sì che il nostro partito, nell’illusione di poter rappresentare le istanze sociali rimanendo chiuso nei circoli e nelle sedi istituzionali, sia stato percepito come abissalmente lontano dal paese reale, organico a quella “casta” di gestione del potere che pratica quei comportamenti -il governo come fine e la politica come potere- da noi aspramente criticati a Venezia. Un dibattito congressuale che sta impegnando militanti, circoli e comitati federali, distogliendo le nostre forze dai preoccupanti avvenimenti di questi giorni, dalla torsione violenta e xenofoba agli episodi di neofascismo che si vanno ripetendo con spaventosa frequenza, con l’esito di aumentare l’autoreferenzialità di questo partito, ormai lontano dalla società. Un dibattito congressuale la cui sterilità non permette di cogliere gli spunti decisivi per il futuro della nostra comunità, travolta dalla crisi della forma partito, dal diffuso sentimento di antipolitica, dal fallimentare esito dell’esperienza governativa. La prima necessità è andare oltre un confronto imperniato sulla definizione di un contenitore e dedicarsi invece alla individuazione di un processo fondato sulle materiali condizioni storiche e sociali, di un percorso di cui possiamo individuare le modalità ma non il punto di arrivo. Una necessità che ci impone di innovare la struttura del partito, pensando ad una cessione di sovranità dal livello nazionale alle realtà territoriali, ad un partito glocale e non accentrato, in grado di annullare la distanza tra politico e sociale, sostenendo i bisogni e le domande dei territori e promuovendo l’opposizione locale alle politiche neoliberiste. Un partito fondato sul mutualismo, sulla democrazia partecipativa, aperto ad una prospettiva comunitarista e neomunicipalista, che superi la tentazione della separatezza istituzionale -che rende riferimento dell’attività politica le istituzioni e non la società- e pratichi l’inclusione dei movimenti a partire dai conflitti territoriali, dalla creazione di esperienze sociali, culturali e sportive dal basso, dai progetti di cooperazione e microintegrazione, dai gruppi di acquisto solidale. Un partito che non può dimenticare la dimensione europea, come è accaduto in questi mesi con la liquidazione di Sinistra Europea, conscio che le dinamiche internazionali impongono la costruzione di movimenti di opposizione ultranazionale al neoliberismo, per fondare democrazie sovranazionali e vedere riconosciuti diritti sociali, politici e culturali universali. Un partito di analisi e innovazione, curioso dei fermenti culturali e scientifici, che indaghi la decrescita economica e si orienti verso la destrutturazione del livellamento del comune sentire attuale, intriso di egoismo ed esploso nelle violenze di Ponticelli e del Pigneto, rispetto al quale siamo stati percepiti, tragico paradosso reale, come forza conservatrice. Insomma un partito nuovo, sociale, dalle forme finalmente rivoluzionarie, perché solo a partire da una alternativa nelle pratiche e nei metodi interni è possibile realizzare all’esterno la costruzione dell’altro mondo possibile. Federico Caporale – coordinamento GC Roma Condividi