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Il “porcellum” leghista costerà alle tasche del cittadino italiano altri 400 milioni di euro. Il doppio di quanto è costata l'operazione social card. Quasi ottanta milioni in più di quei 322, come ricorda Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi, dati dall'Italia al terzo mondo. Il paese più taccagno dell'occidente. Il governo infatti, su pressione della Lega (contraria all'abolizione della legge elettorale pensata da Calderoli, il cosiddetto porcellum), stresserà il cittadino italiano mandandolo a votare tre domeniche di fila. Il 6 e 7 giugno infatti si voterà per le europee e per le amministrative, quindici giorni dopo per il secondo turno delle amministrative, e in mezzo verrà piazato il referendum per l'abolizione del porcellum. L'obbiettivo di non far raggiungere il quorum mandando gli italiani a votare tre domeniche di fila (a giugno poi) è così scoperto che fa suscitare più di una incazzatura. Come detto, il costo che la classe politica ci vuole far pagare per affossare il referendum è di 400 milioni di euro, così come calcolato dal sito di economisti Lavoce.info. La motivazione che il governo addita a sostegno del non accorpamento è questa: i poveri elettori si confonderebbero. E allora ti senti ancora più preso per i fondelli. Il cittadino italiano infatti è considerato come una specie di minus habens, di minorato mentale che non sa distinguere fra tre schede diverse. Quando il due novembre gli Stati Uniti hanno eletto Barack Obama, negli stati americani si è votato per 153 (centocinquantatre) referendum diversi. C'è da aggiungere altro? Insomma, il governo, e la Lega Nord in particolar modo, invece di ingaggiare una più che legittima battaglia tra idee diverse, pro o contro l'abolizione di questa legge elettorale, sceglie la strada più subdola e costosa per far fallire il referendum, comportandosi da vera e propria casta. Una casta di bramini che fa e disfa come vuole. In un periodo storico dove la crisi economica picchia duro e dove spese assurde come queste non dovrebbero neanche essere prese in considerazione. Quantomeno per decenza. E invece. Ma quante cose si potevano fare con quei 400 milioni? Il comitato promotore dei referendum elettorali ha così denunciato questa mattina con una conferenza stampa a Montecitorio il rischio che il governo metta in campo questa “furbata”. A 90 giorni dalla consultazione dunque, il presidente Giovanni Guzzetta e il coordinatore Mario Segni, insieme ad Arturo Parisi del Pd e Teresa Petrangolini di Cittadinanzattiva, chiedono al governo e in particolare al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che tra le due date possibili per l'indizione del referendum venga scelta quella del 7 giugno, per la quale è già stato indetto l'election day di europee e amministrative. I motivi sono due: uno di carattere economico e uno di carattere più politico. Tenere la consultazione popolare il 7 giugno, infatti - argomentano Guzzetta e Segni - comporterebbe, come detto, un risparmio di 400 milioni di euro che potrebbero essere più utilmente impiegati per sostenere il lavoro delle forze dell'ordine, nel campo dell'istruzione o ancora per il sostegno delle famiglie che abbiano a carico malati non autosufficienti. In secondo luogo, aggiungono, con l'election day, si darebbe vita a una sfida più trasparente. “Chi contesta il referendum - sottolinea Guzzetta - dovrebbe fare una battaglia a viso aperto e non cercare di sabotare una iniziativa che ha già avuto il sostegno di 820 mila cittadini”. Il comitato, per questo chiede un incontro con il ministro Maroni e si riserva di fare un appello anche al capo dello Stato perché intervenga. Con la speranza che non venga data vita a questo insulto al sacrosanto diritto dei cittadini di esprimersi su una questione così importante. Condividi