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Il 6 ed il 7 giugno prossimo si terranno le elezioni per il Parlamento europeo e per il rinnovo delle amministrazioni comunali e provinciali. In Umbria sono interessati al voto le due amministrazioni provinciali di Perugia e Terni e 68 amministrazioni comunali (25 in provincia di Terni e 43 in quella di Perugia). Di queste 68, 10 sono costituite da comuni al di sopra dei 15.000 abitanti (8 in provincia di Perugia e 2 in provincia di Terni), tra i quali i due capoluoghi di provincia. Nei restanti casi si tratta di comuni al di sotto dei 15.000 abitanti. Le precedenti elezioni amministrative del 2004 videro nelle città umbre un successo generalizzato delle liste e dei candidati Sindaci di centro sinistra. Nelle dieci città al di sopra dei 15.000 in nove casi i candidati del centro sinistra vinsero al primo turno, superando abbondantemente la soglia del 50% dei consensi e solo in un caso, quello di Gualdo Tadino, si dovette ricorrere al ballottaggio, con l’affermazione, anche in questo caso di un candidato del centro-sinistra (o meglio di una parte del centro sinistra, visto che in quel caso le forze di centro sinistra si erano presentato spaccato esattamente a metà). Analogo andamento in quasi tutti i 60 comuni al di sotto dei 15.000 abitanti, per i quali la legge elettorale non prevede il doppio turno, che nella stragrande maggioranza dei casi videro il prevalere di candidati dichiaratamente di centro sinistra o di liste civiche comunque ispirate al centro sinistra. Ma quelli erano anni diversi. Al governo c’era, come adesso d’altra parte, il centro destra guidato da Berlusconi, ma nel paese montava l’insoddisfazione e di lì a poco sarebbe nata l’Unione di Romano Prodi, che nel 2006, seppur di stretta misura, avrebbe battuto il centro destra. Soprattutto erano anni nei quali si veniva affermando l’idea che per battere Berlusconi era necessario mettere in campo un’alleanza larga che andasse, per intenderci, dall’Udeur di Mastella alla Rifondazione di Bertinotti. Ed il centro sinistra, pur con le debite eccezioni locali, costituiva una sorta di punto di riferimento quasi “naturale”. Come, nel campo del centro destra altrettanto consolidata era l’alleanza tra Forza Italia, Alleanza Nazionale e UDC. Ora la situazione è molto diversa. A governare c’è ancora Berlusconi, ma il sistema politico, con le elezioni della primavera dello scorso anno è stato attraversato da un vero e proprio terremoto. Sul versante del centro destra è nato, dalla fusione di AN, Forza Italia ed altre formazioni minori, il Popolo della libertà, che ha rotto con l’UDC, individuando come alleati la Lega di Bossi al Nord ed il Movimento per le autonomie del siciliano Lombardo (ex UDC) al Sud. Sul versante del centro sinistra è nato il Partito Democratico che, con le scelta operata di “correre da solo”alle elezioni, accettando solo l’alleanza con l’Italia dei Valori di Di Pietro, oltre il non certo esaltante risultato di aver consegnato il paese a Berlusconi, ha di fatto sancito la fine del centro-sinistra. E questo dato della rottura, sia a destra che nel campo del centro sinistra, delle vecchie alleanze è ciò che rende problematico il quadro della situazione attuale, in particolare per il centro sinistra. La legge elettorale per i comuni al di sopra dei 15.000 abitanti prevede che per essere eletti al primo turno è necessario che il candidato sindaco superi la soglia del 50% dei consensi. Sulla base dei risultati raggiunti dal Partito Democratico alle politiche dell’aprile scorso (risultati che come vedremo non si discostano molto da quelli ottenuti da DS e Margherita nel 2004) vincere da soli al primo turno appare una “mission impossible”, tranne in un caso, quello di Umbertide. Da qui la necessità per il Partito Democratico di ricostruire un quadro di alleanze, magari anche diverse da quelle che attualmente governano città e province dell’Umbria, allargando (tanto per fare un esempio!!) anche ad avversari storici delle amministrazioni umbre, come l’UDC, ora all’opposizione di Berlusconi. L’importante, pare di capire, è superare la fatidica soglia del 50%. Anche perché, come i più navigati di politica ed elezioni sanno bene, il secondo turno è tutta un’altra storia, le sorprese possono essere tante e non è automatico che il candidato uscito con il maggior numero di consensi al primo turno riesca a prevalere anche nel secondo. Roma docet. A complicare la situazione è che in buona parte dei comuni maggiori e nelle due amministrazioni provinciali o perché già al secondo mandato o per considerazioni di opportunità politica, il sindaco uscente non potrà o non sarà essere ricandidato, per cui la già non facile partita delle alleanze si intreccia con quella della scelta del candidato sindaco e delle modalità con le quali operare questa scelta: primarie si, primarie no, primarie di partito o di coalizione, o, perché no, primarie di programma. In ultimo alla ricostituzione di alleanze locali di centro sinistra non giovano sicuramente le prese di posizione nazionali del Partito Democratico in materia di legge elettorale per l’europee a favore dell’introduzione di una soglia del 4%, che renderebbe assai difficoltoso l’elezione al Parlamento europeo di rappresentanti delle varie formazioni della sinistra divisa. Resterebbero, nell’ipotesi democratica, le preferenze, questione a cui tiene molto l’UDC, unica delle forze minori in grado di superare il 4%. Altra mina vagante, questa volta a livello regionale, la proposta, sempre del PD, di riportare a 30 i consiglieri regionali (attualmente lo statuto ne prevede 36), riducendo di conseguenza le possibilità per le forze della sinistra di essere rappresentate in Consiglio regionale. Insomma un bel rompicapo. Ma forse per capirci qualcosa vale la pena riflettere sui numeri che si hanno a disposizione, ovvero dai risultati elettorali più recenti. Partiamo dalla città capoluogo, Perugia. A Perugia nel 2004 il sindaco uscente Renato Locchi venne riconfermato al primo turno nella carica di primo cittadino con il 66,0% dei consensi (0,9% in meno della coalizione che lo sosteneva), il candidato del centro destra Gianluigi Rosi si attestò al 30,4%, mentre la lista civica capeggiata da Ruggero Ranieri di Sorbello portò a casa un magro 1,6%. Attorno all’1,0% gli altri due candidati dell’estrema destra. A sostegno della candidatura Locchi si era schierata una vasta coalizione di centro sinistra che nel complesso ottenne il 66,9%, con i DS al 34,6%, la Margherita-Udeur al 10,9%, Rifondazione Comunista all’8,1%, i Socialisti al 6,8%, i Comunisti Italiani al 3,3%, i Verdi all’1,9% e Di Pietro/Occhetto all’1,3%. Alle politiche del 2008 il neonato Partito Democratico ha ottenuto il 44,6% dei consensi, valore non assai distante da quello ottenuto nel 2004 da DS e Margherita insieme (45,5%), quindi lontano dalla fatidica soglia del 50%. Le forze della Sinistra, sotto il simbolo dell’Arcobaleno, si sono fermate al 3,6%, i Socialisti all’1,8% e l’Italia dei Valori al 3,8%. Stando quindi ai dati 2008 la somma dei partiti dell’ex coalizione di centro sinistra raggiungerebbe il 53,8%, superando la soglia per vincere al primo turno. Quindi bissando il risultato 2008 il centro sinistra perugino, con lo stesso profilo politico del 2004, avrebbe, sulla carta buone possibilità di vincere al primo turno. Rispetto a questi dati si può obiettare che, anche alla luce dei recenti risultati delle elezioni abruzzesi, le forze della Sinistra, ovvero Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Sinistra Democratica e Verdi, al di là del numero di liste cui daranno vita (da 2 a 4 dato per assodata la scelta, di Rifondazione e dei Comunisti in primo luogo, di non andare a liste unitarie della sinistra), si collocherebbe su di un risultato migliore di quello conseguito nel 2008. Seguendo lo schema abruzzese si può ipotizzare per le liste della Sinistra un risultato doppio rispetto a quello del 2008, attorno all’8%, recuperando soprattutto consensi andati al Partito Democratico. Assai più problematico si presenta il recupero dell’astensionismo, per altro generalmente più accentuato alle amministrative rispetto alle politiche. Stesso ragionamento si può fare per il Partito socialista, il cui consenso elettorale nel 2004 sfiorava il 7%e che nel 2008 è crollato all’1,8%. C’è poi l’incognita Di Pietro(3,8% nel 2008) ma che molti sondaggi nazionali danno come forza in grande crescita. Tutti ragionamenti giusti ma che devono fare i conti con un limite “fisico”, dato dal bacino elettorale del centro sinistra che non è espandibile più di tanto, anzi sondaggi di fonte diversa danno in restringimento e comunque assai inferiore ai livelli del 2004, ovvero al 66,9%. Per cui eventuali crescite di tutte le forze politiche penalizzate dal voto dello scorso aprile andrebbero, principalmente, a scapito della forza maggiore, il Partito Democratico, che vedrebbe ridotto il suo peso all’interno della coalizione con un peso sempre più determinante delle altre forze politiche. E qui un primo interrogativo, sulla convenienza o meno per il Partito Democratico, che i sondaggi nazionali danno in calo di consensi, a presentarsi con una coalizione larga o pensare a qualcosa di più ristretto, giocando poi la partita sul richiamo al voto utile contro “i barbari alle porte della città”. Sul versante opposto, il centro destra, che nel 2004 si fermò al 29,8%, anche recuperando per intero l’UDC, sulla base dei risultati del 2008 si attesterebbe sotto il 40%. Al momento pare difficili un accordo con la Destra di Storace che a Perugia, sempre nel 2008, arrivò a sfiorare il 4%. Le sorprese maggiori si potrebbero avere con la presentazione di una (o più) lista civica, di cui da tempo si parla, una sorta di terzo polo, in grado di raccogliere uno scontento che va maturando da tempo in città, magari con la partecipazione di forze politiche prima collocate nel centro sinistra e che oggi chiedono una discontinuità di programmi ed uomini che il Partito Democratico perugino non sembra affatto intenzionato a concedere. Sarebbe sufficiente per questa forza superare il 7% per costringere al secondo turno. E allora…. In un prossimo articolo verranno esaminate le situazioni delle altre città più importanti dell’Umbria. Condividi