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La condizione sociale rimane la priorità Il voto ed il non voto abruzzese porta con se alcune considerazioni. Le prime sono di natura tecnica e sociologica: quando è isolato dal clima nazionale, il voto locale è poco sentito. Segno che il valore civico del voto e della partecipazione democratica sono elementi vintage. Le seconde attengono alla politica. In Abruzzo vince l’astensione ed il centrodestra. Amen, verrebbe da dire, eppure non era difficile immaginare che dopo i guai giudiziari del governatore uscente gli elettori residui avrebbero premiato il Pdl. Tra gli sconfitti, c’è la sorpresa del voto a Di Pietro, il crollo del Pd e che le forze della ex Sinistra Arcobaleno prendono più voti divise che unite. Nel risultato dell’IDV pesa, ovviamente, il traino del candidato presidente. Ma non in toto. C’è che, in fin dei conti, educare il paese all’antiberlusconismo di maniera paga. Di maniera, perché al satrapo di Arcore per anni non sono state rimproverate le scelte economiche ma solo ed esclusivamente le sue beghe con la giustizia e la spregiudicatezza negli affari. L’elettorato non-di-destra è stato per anni educato ad opporsi a Berlusconi sic et simpliciter, tralasciando il fatto che c’è almeno metà di questo paese che è assolutamente impermeabile alle questioni giudiziarie ed extra-politiche del capo del governo. Un collante ideologico a suo modo forte ma che ha bisogno di essere continuamente alimentato, specie quando si detengono le leve del potere per intervenire – e non lo si fa – pena il crollo dei consensi. Aldilà di qualche slogan e qualche buon proposito, la leva principale di consenso al PD è l’opposizione all’uomo Berlusconi, non alle sue politiche economiche. La debolezza con cui viene sviluppata questa strategia ha minato il PD alle fondamenta del suo consenso. Di Pietro, invece, intercetta essenzialmente in voto di chi se lo può permettere: degli statali, dei pensionati, dei garantiti, di quel ceto medio intaccato dalla crisi economica solo marginalmente. Di chi può mettere le questioni morali ed etiche al primo posto – per loro fortuna – invece che quelle economiche. Di chi, anche in tempi di crisi, non ha troppe preoccupazioni per il futuro. In una parola, l’intransigenza dipietrista ha intaccato l’elettorato proprio del PD, essendosi sostituito a quel partito nella pratica dell’antiberlusconismo. Fuor di polemica, non si ricorda granché delle posizioni in campo economico e lavoristico dell’IDV: di certo non vengono votati per le posizioni sulle pensioni, il carovita o il lavoro precario. L’astensione. C’è da pensare che per molta gente il voto sia l’ultimo dei problemi perché la crisi economica non intacca tutti alla stessa maniera. Mondo operaio, lavoro precario, nuove professioni, artigianato e micro-impresa scontano verticalmente i suoi effetti. Gli altri, semplificando, rischiano di veder compressa la propria propensione ai consumi ma è cosa ben diversa il non poter andare in vacanza o non poter fare shopping compulsivo dal non poter pagare la rata del mutuo o essere costretti a dover dipendere dalla propria famiglia di origine o dal dover chiudere baracca e burattini. In questo senso, i danni spaventosi creati anche dal campo riformista sono sotto gli occhi di tutto: se per anni lavori alla sistematica rimozione delle categorie concettuali legate alla condizione sociale; se le sostituisci con l’etica, la morale, il nuovismo, l’impresa e chissà cos’altro; se condensi tutto questo nell’opposizione all’uomo Berlusconi e non agli effetti devastanti delle sue politiche; se poi quando hai gli strumenti di governo in mano ti guardi bene dal fare alcunché, basta la spruzzata di fango di qualche inchiesta ed il gioco si rompe. I riformisti hanno sostituito il conflitto di classe con il conflitto di interessi e non sono riusciti a risolvere neanche quello. È chiaro che di fronte alla conclamata incapacità di sapere o volere affrontare la questione, un elettorato educato a giudicarti sulla base del tasso di opposizione a Berlusconi ti volta le spalle. Di norma, affiancare i temi etici a quelli sociali rappresenta un arricchimento. Cavalcare i primi rispetto ai secondi può provocare un vantaggio momentaneo. Sul lungo periodo, dimenticarsi o dare per scontati i secondi si rivela un errore madornale. Lo dice il voto di aprile, non quello abruzzese. Errore in cui è caduta, in questi anni, anche gran parte della sinistra radicale che si è persa nei rivoli delle sacrosante battaglie civili dimenticandosi del tutto della questione centrale: il lavoro e la condizione sociale. Volenti o nolenti, entusiasti o riluttanti all’idea, le uniche forze che possono rimettere al centro i temi della condizione sociale sono quelle della sinistra radicale. I comunisti innanzitutto. Non basta più saper analizzare i bisogni, si possono organizzare risposte concrete, colmando i vuoti dello Stato, le storture del sistema economico, i guasti delle imprese. I Gap hanno, in questo senso, un valore politico ben più alto di quanto non si creda ed un potenziale incredibile. La migliore opposizione a Berlusconi? Rimane quella che fa coincidere il peggioramento delle condizioni economiche alla stretta autoritaria già in atto nella società e che qualcuno vuole sancire nella carta costituzionale. Facce della stessa medaglia rispetto alle quali occorre intervenire sulla prima per evitare la seconda. Non il contrario. Va rotto il nesso che crea una saldatura perfetta tra evidenti pulsioni securitarie e crisi economica – per cui, anche solo la promessa di un futuribile miglioramento della condizione di vita può far rinunciare a qualche garanzia democratica e far chiudere volentieri gli occhi di fronte alle malefatte del capo del governo. Il paternalismo berlusconiano ed il populismo di Tremonti rimangono di gran lunga le risposte più veloci ai problemi dell’oggi, analizzati con categorie degne di una isteria collettiva che macina pulsioni xenofobe, rifiuto della politica, disprezzo del sindacato, diffidenza versa il sistema bancario, pregiudizi antichi e moderni contro il pubblico impiego, etc etc, in un tritacarne fatto di sbalzi umorali, rumori di pancia, nemici immaginari, ansie e paure. Una brodaglia pre-politica e per questo maggiormente indigesta. È la condizione sociale la pietra angolare. Il resto è importante ma, purtroppo, non centrale in questa fase. Il punto, oggi, è cercare di far diventare la condizione sociale la chiave di lettura della società e di se stessi, rimarcando che non sono praticabili vie di fuga individuali dalla crisi ma solo risposte collettive. Che vanno messi in discussione il modello di sviluppo economico, il sistema del welfare, gli stili di vita e di consumo, l’uso del territorio mettendo da parte la centralità dell’impresa sostituendola con le persone. Che la questione morale è soprattutto altra cosa: è non dover pietire un posto di lavoro, è non dover aver paura di fare sciopero anche se si lavora in una piccola azienda, è non essere costretti a chiedere aiuto ai figli, ai nipoti o ai nonni per vivere in maniera decorosa. Di certo è più difficile che limitarsi a dire che Berlusconi è un pericolo per la democrazia in Italia ma la disoccupazione, la cattiva occupazione e la povertà sono pericoli ben maggiori. Condividi