franco calistri.jpg
La recessione morde le economie di tutto il mondo, i paesi maggiormente sviluppati corrono ai ripari varando piani anticrisi che prevedono forti investimenti pubblici. Così si comporta la Cina, che ha dato avvio ad un piano pluriennale di investimenti pubblici che mobilita risorse pari al 7% del PIL nazionale. Non minori sono le risorse messe a disposizione dal governo Usa per salvare le banche, prima, ed ora l’industria automobilistica (14 miliardi di dollari), la Banca centrale europea diminuisce drasticamente il costo del denaro, portando il tasso di sconto al 2,5% ed invitando i paesi europei ad adottare tempestivamente piani anticrisi “in grado di porre solide basi per la ripresa e per una maggiore crescita potenziale, migliorare la qualità delle finanze pubbliche e promuovere riforme strutturali” . La Commissione europea, in attesa delle decisioni che verranno prese nel corso del vertice europeo dell’11 e 12 dicembre, è pronta ad accordare sforamenti al tetto del 3% fissato dal Trattato di Maaastricht come limite invalicabile del deficit pubblico. E l’Italia. Dopo aver inizialmente annunciato un piano di 80 miliardi di euro, velocemente ridotto a 12,7 miliardi e poi a 7 miliardi, ed infine, con il decreto del 28 novembre, a 3,7 miliardi, pari allo 0,7% del PIL.: una inezia, una cifra non solo modestissima ma assolutamente inadeguata ad affrontare la crisi, anzi praticamente ad effetto nullo. Questo perché i vari interventi previsti nel decreto sono finanziati non ricorrendo a risorse aggiuntive, aumentando il debito o, senza ricorrere all’indebitamento, utilizzando i risparmi derivanti dai minori esborsi per interessi sul debito pubblico, grazie alla riduzione dei tassi di interesse, ma attraverso aumenti delle entrate o riduzioni di spese. Si rende più complicata la possibilità di usufruire delle agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni con finalità ambientali, si riducono i fondi per la formazione professionale, si diminuiscono le risorse a disposizione dei Confidi per il sostegno alle piccole e medie imprese, mentre con la scusa della semplificazione si tolgono di mezzo tutta una serie di norme antievasione introdotte dal governo Prodi. Quindi una partita di giro con ricadute nulle in termini di contrasto anticiclico. Ma non basta c’è di più. Leggendo, come hanno fatto gli economisti de lavoce.info le tabelle di copertura finanziaria del decreto elaborate dal servizio bilancio della Camera, si scopre che le misure anticrisi presentano un saldo netto positivo di 390 milioni di euro, ovvero grazie a questi interventi lo Stato tra maggiori entrate e minori spese incasserà 390 milioni di euro. Non solo non c’è una riduzione della pressione fiscale ma. Sempre in termini di saldi, vi è un incremento di entrate dell’ordine di 3,5 miliardi di euro, in buona parte di natura tributaria. Insomma mentre tutti gli stati per far fronte alla crisi mettono mano ai cordoni della borsa, l’Italia Tremonti e Berlusconi li restringe. Condividi