Vinti: "Altro che grandi opere. Mettiamo in sicurezza l’Italia"
PERUGIA - “Mentre si continua a discutere di condoni e facilitazioni per i grandi costruttori, l’Italia crolla. Ci vuole una bella faccia tosta a sfilare durante i funerali, spesso di Stato, causati dal disastro idrogeologico in cui versa il nostro paese. Forse la più vera emergenza nazionale. Invece il nostro esecutivo sta cercando di facilitare ulteriormente la cementificazione selvaggia che ha già distrutto grande parte del paese”. E’ quanto ha affermato l’assessore regionale Stefano Vinti in merito ai danni registrati ieri nel nord Italia.
“Le cifre di vite umane immolate sull’altare del cemento sono impressionanti, ha dichiarato Vinti. La Liguria è solo l’ultima vittima illustre di una politica dissennata. 1994, Asti, 70 morti; 1996, 13 vittime per lo straripamento del Versilia, 6 a Crotone; 1998, a Sarno, 160 vittime; 2000 alluvione Piemonte, 30 morti; 2009, Giampilieri, 36 vittime, solo per citare le principali. In periodo di crisi due conti bisognerebbe pure farli: quanti miliardi sono stati spesi negli anni per risanare i danni causati dall’incuria, dallo sfruttamento e da un’insana gestione del territorio? Sappiamo che dal dopo guerra il costo del dissesto idrogeologico ammonta a 213 miliardi, 5 volte di più di quanto sarebbe servito ad evitarlo. Ma tutto ciò, continua Vinti, sembra non essere sufficiente all’attuale Governo che nella Legge di stabilità 2012 dimezza i fondi per il risanamento ambientale, da 300 milioni a 150, di cui solo una parte per la messa in sicurezza del territorio. E pensare che solo un anno fa il Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi lanciava un allarme: 6 milioni di cittadini italiani vivono in zone pericolose”.
“Allora, conclude Vinti, suggeriamo all’esecutivo una sola grande opera, urgentissima: il risanamento del territorio. Un risanamento di cui gioverebbe anche l’Umbria, vista la sua fragilità”.
Sabato
29/10/11
00:45
Impresa impossibile, visto il tasso abnorme di consumo del suolo, bisognerebbe abbattere quartieri interi. Evitiamo la retorica Vinti. Un discorso diverso riguarda la manutenzione del territorio e degli ecosistemi fluviali e forestali. Consideriamo che una causa poco apparente del dissesto del suolo, ma incisiva, e' l'enorme perdita idrica della rete o le pratiche agricole con colture fortemente idrovore. La sostenibilita' non e' solo uno slogan, ma deve essere messa in pratica.
Sabato
29/10/11
11:15
Il problema del dissesto idrogeologico della penisola é serio e si trascina da tempo…. Da troppo tempo.
Se ne é parlato da sempre. La mancanza di geologi nelle amministrazioni pubbliche; la funzione importante delle comunità montane e dei " montanari" che lasciano per sempre casolari e coltivazioni improduttive abbandonando la natura a se stesa.
Non é vero che non si fa nulla. Certo, è anche vero che si sarebbe dovuto e potuto fare di più.
Le problematiche "politiche" del nostro paese sono molte. Tutte urgenti.
Crolla una casa? si scopre che i nostri vecchi edifici sono vecchi e mal realizzati. C’é un terremoto? Si scopre che mancano i piani di protezione civile e se ci sono, sono mal fatti o si trovano inutilizzati in qualche cassetto.
C’è una frana'? e giù a dire che manca la programmazione delle manutenzioni e potrei continuare.
Viviamo in perenne emergenza senza una chiara individuazione delle priorità dei problemi che affliggono il nostro paese!
Manca un apolitica nazionale che distribuisca sapientemente nell’arco degli anni le poche risorse nei canali più importanti per la nostra sicurezza o per il nostro sviluppo o mancano le volontà per reperirle.
Queste considerazioni però ampliano l’orizzonte delle problematiche perché evidenziano un’altra carenza: forse la più grave: Manca una classe politica che sappia fare analisi complesse e lungimiranti che abbiano come finalità la risoluzione dei problemi della gente senza crearne altri.
Del resto bisogna anche ammettere che un politico non sempre ha come priorità quelle della gente che spesso sono secondarie rispetto a quelle del suo partito o peggio, le sue.
Rende elettoralmente molto di più dare un contributo a chi ha subito dei danni, che chiedere soldi tramite una ulteriore imposta per mettere in sicurezza il fronte di una frana!
Bisognerebbe ritrovare il senso vero della politica e quello dei Politici che, se intelligenti e lungimiranti, avrebbero già trovato il modo di evitare che questo stato di continua emergenza perduri da tutti questi anni.
C’è stata un altra alluvione che fare ? tamponare il problema con demagogiche soluzioni come se il problema italiano più grande fossero le alluvioni? Bisogna intervenire subito per ridurre questo rischio lasciano intatti tutti gli altri?
Se questa é la ricetta allora vuole dire che non c'è quella visone aperta e lungimirante che ci vorrebbe perché i problemi sono moti l'ultimo non sempre è il più importante. D’altro canto bisognerebbe pur fare qualche cosa perché il mio ragionamento non divenga l’alibi per non fare nulla. Ma questo è proprio il compito della politica e del confronto tra le forze che ci rappresentano nelle istituzioni.
Anche dalla soluzione che sapranno trovare per risolvere i problemi della pianificazione del territorio che si misurerà la loro capacità di analisi e di azione. Il compagno Vinti fa bene a porre l’accento sul problema.
Non ho capito bene, invece quale sia la sua soluzione visto che mi pare velleitario chiedere di questi tempi che le poche risorse disponibili siano impiegate prioritariamente per mettere in sicurezza il territorio nazionale e regionale.
Sabato
29/10/11
16:04
La rivolta della natura, indotta anche dai cambiamenti climatici, è un tragico (11 mila morti dal 1860 ad oggi) e costoso (circa 50 miliardi negli ultimi 10 anni), atto d'accusa contro tutti i politici e i funzionari che non governano un territorio, orograficamente complesso. Nessuno escluso.
Quando l'assessore Vinti parla di "mettere in sicurezza", è evidente che per ottenere questo obiettivo bisogna eliminare tutti gli ostacoli diretti e/o indiretti che determinano il rischio. Impresa impossibile, ripeto. Perché significherebbe cancellare decenni di scelte urbanistiche e paesaggistiche, colpevolmente erronee.
Che cosa si può fare? Ritornare a quella saggezza che ci hanno insegnato i romani o i monaci e che ci dovrebbero insegnare la scuola e l'Università (se non fosse beatamente chiusa a riccio nella propria isola - non più - felice)!
Uno strumento pratico, ci è offerto dalla nuova architettura che sostiene la nuova PAC europea 2014-2020. Gli agricoltori diventeranno gli attori principali di una politica che, come abbiamo visto fare ai nostri nonni, li chiamerà ad essere i protagonisti attivi nella manutenzione degli ecosistemi fluviali e forestali. Questo significa ritornare all'antico. Recuperare l'agricoltura, come settore primario del paese e piattaforma d'innovazione.
Sono risorse importanti quelle PAC, ma le realtà locali debbono essere capaci e pronti a valorizzare queste risorse ed a creare progettualità efficace. Questo è il compito degli enti locali e della comunità agricola locale.
L'altra scelta di fondo è quello che in Germania hanno chiamato (e attuato dal 2008 per uscire dalla crisi): green deal. Approccio culturalmente avanzato e molto diverso, rispetto alla green economy di stampo 'finanziario' che domina gli slogan e i proclami politici nostrani.
Il territorio è la più grande infrastruttura del paese e invece di incaponirci a salvare industrie, spesso decotte e impossibilitate a competere sui mercati internazionali. L'investimento va dirottato sulla manutenzione dello straordinario patrimonio ambientale e naturale del paese, sulla efficienza e il risparmio energetico etc. Ovvero su tutte quelle 'infrastrutture di rete' che rendono moderna una nazione.
In questo occorre sviluppare strategie 'sociali' per sviluppare politiche di riconversione professionale di quei lavoratori che si trovano privati della loro dignità di padri e di uomini, perché privati di un lavoro, chiamati a vivacchiare della cassa integrazione. Rottamati professionalmente e psicologicamente, nella loro piena maturità esistenziale.
I sindacati dovrebbero farla questa battaglia, per chiedere una riconversione e una prospettiva concreta di lavoro, dignitoso, in settori dove il lavoro è infinito e continuo, come la manutenzione del territorio.
Quella che chiamano green economy (ma che si dovrebbe chiamare economia sostenibile) è dapprima, non una 'economia finanziaria' ma sociale e ambientale, perché restituisce qualità della vita e valorizza i talenti.
Non ci rendiamo conto ma oltre la metà del patrimonio forestale italiano è ormai incolto, quindi, determina fenomeni continui di erosione 'a catena' del territorio. Solo con i frutti legnosi di queste politiche di coltura del bosco, avremo un potere energetico (espresso in calore prodotto) enorme. Molto più impattante in termini di efficienza energetica, del fotovoltaico. Attenzione, non parlo di deforestazione, ma di manutenzione e coltivazione.
Alla base di tutto c'è la conoscenza e l'educazione: se i nostri politici non hanno lo sguardo aperto verso questi problemi, non prenderanno mai decisioni coraggiose. Se i cittadini non li sosterranno in queste politiche, controcorrente - le sole possibili - non potremmo mai pretendere molto da persone che sono cresciute (quando non sono improvvisati), nel brodo di coltura della del consenso elettorale. Se i nostri giovani, non scendono in piazza, inc....ti davvero, non solo per chiedere un 'generico' lavoro o protestare contro le banche, ma per chiedere lavoro in quei settori dove lavoro ce ne sarebbe in quantità. Saremo sempre fermi al palo.
Per essere più chiari, faccio un esempio: nel 2010 la Regione Marche ha avviato con un articolo di legge finanziaria regionale il "Progetto Appennino". Riconvertire i lavoratori espulsi dalla crisi industriale fabrianese e ascolana, nei lavori di manutenzione e messa in sicurezza del territorio. Non è un caso che questo progetto sia di pertinenza dell'assessorato al lavoro, perché il green deal è uno straordinario motore e compensatore sociale per aiutare il lavoro.
Se poi nelle Marche questo progetto non è ancora partito, spero che i sindacati e i lavoratori locali, a qualche politico ne chiedano conto! Magari quei 1400 lavoratori che rimarranno 'a piedi' dopo lo spezzatino Antonio Merloni.
Come proposi, anche l'anno scorso, ad un autorevole esponente del PRC umbro, progetti del genere dovrebbero partire anche in quelle aree montane (Nocerino - Gualdese) che, inevitabilmente, pagheranno l'onda d'urto Merloni.