di Sandro Roazzi

C’è una nuova mina vagante nei percorsi tortuosi dell’economia mondiale e si chiama protezionismo. Non a caso la Banca Mondiale lo ha considerato uno dei maggiori presupposti sui quali ha poggiato previsioni al ribasso per l’economia mondiale nel 2017. Trump e Brexit sarebbero i motori di questo ritorno di fiamma, causato soprattutto dalla difficoltà a rilanciare l’occupazione. Un orientamento che anche negli Stati Uniti avrà i sui pro e i suoi (considerevoli) contro. Intanto, però, le industrie dell’auto statunitensi fanno i conti con gli annunci di Trump e si va dalla cancellazione di un maxi investimento della Ford in Messico alla promessa della Fca di Marchionne di realizzare in territorio Usa due stabilimenti, impegnando un miliardo di dollari per ricavarne 2mila posti di lavoro. Il che fa capire quanto sia insidiosa la nuova stagione dell’automazione e delle reti per le sorti della crescita del lavoro.
E il settore dell’auto si dimostra, dopo la crisi degli anni scorsi, forse il più dinamica, oltre a continuare ad essere un simbolo dell’attività produttiva. In Italia, ad esempio, è fattore trainante di una produzione che nel 2016 ha avuto alti e bassi. Ma il settore dell’auto no, ha camminato deciso su picchi niente male, che ha permesso di registrare un +8,4% nei primi undici mesi dell’ultimo anno da poco concluso. Certo, è da vedere cosa succederà se la nuova Amministrazione statunitense insisterà nel richiamare in patria più attività possibili, pur nella consapevolezza che l’integrazione internazionale si è spinta talmente avanti che fare una retromarcia non sarà facile (si pensi alla costruzione dei motori disseminata nel mondo) e comunque al prezzo di continui compromessi.

In Italia il trimestre settembre-novembre sul piano delle produzioni comunque porta buone notizie; prevalenti, ma anche meno buone. Il consuntivo è di un +0,9%, ma mentre salgono il comparto dei beni strumentali e quello dell’energia, è dato in calo di quasi un punto tendenziale il settore che si occupa dei beni di consumo (-0,6% in undici mesi). Segno che il mercato interno non è ancora uscito da quella forma di depressione economica che si chiama paura del futuro e si nutre di tante incertezze che le mosse della politica non riescono a contrastare efficacemente. Nel 2016 il picco positivo della produzione e’ stato agosto con un +7,7%, un mese di...vacanza, quello negativo luglio con un più ‘reale’ -6,3%. Il resto oscilla senza attestarsi su un percorso lineare. Partita aperta, dunque. Molto dipenderà dal valore che quest’anno si darà alle questioni economiche. Il vento gelido di questo inverno finora sembra influenzare anche quello economico.

Ma è solo l’inizio. Una variabile non trascurabile negli Stati Uniti sembra poter essere il comportamento (e l’attesa) delle pmi americane, quelle imprese che più di altre hanno riposto speranze in Trump. Più agili, ricettive per l’innovazione, in difficoltà sugli sbocchi di mercato sono però pronte a sfruttare le occasioni. Sarà l’anno delle piccole e medie aziende anche altrove? La funzione di traino è nelle loro potenzialità, ma piu’ dei ‘grandi’ hanno bisogno di uno scenario incoraggiante. In Europa una prospettiva del genere però non pare dietro l’angolo.

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