di Paolo Arcelli*

PERUGIA - Ci viene il dubbio leggendo la cronaca locale, che la cosa che più interessa agli amministratori delle Fondazioni umbre che possiedono azioni di Banca Intesa sia capire quale sarà la sede e chi sarà il Presidente (e il CdA) della Cassa dell’Umbria, piuttosto che trattare davvero con l’Istituto una “politica creditizia per l’Umbria in Umbria”. E non ci conforta il fatto che per le Amministrazioni locali e per le organizzazioni sindacali la principale preoccupazione sia quella della salvaguardia dei livelli occupazionali. Il timore delle piccole imprese è invece quello che si tagli ulteriormente il cordone ombelicale di queste “casse” con il loro territorio, con l’Umbria, come in effetti è andata, purtroppo, per la Cassa di Perugia con Unicredit.
Dicevamo tempo fa della grave situazione in cui si sta venendo a trovare il nostro tessuto economico produttivo dal punto di vista della disponibilità di credito, stretto tra le tagliole di bilanci 2010/2011 negativi ed i futuri restringimenti del rating derivanti anche dall’applicazione dei parametri di Basilea 3. Meno credito al massimo tasso, in un momento in cui i risultati aziendali e dunque gli indici conseguenti non torneranno positivi, nemmeno nelle migliori famiglie: è l’anticamera del default del sistema della piccola impresa che, lo ricordiamo, ha più del 60% di occupati nel privato (60mila tra titolari e addetti solo nel comparto dell’artigianato).

A questo noi cosa opponiamo? Niente, nemmeno un cartello “adulto” di tutte le Fondazioni nei confronti di Banca Intesa, ma invece colloqui vis à vis (pensate che potere contrattuale avrà il presidente di una delle Fondazioni con Corrado Passera!), in cui la trattativa sarà da mercato delle vacche (magre, per di più). E pensate che risultato la ventilata Cassa dell’Umbria, nella quale chi siederà nel board, comunque scelto e in qualunque luogo essa stia, non avrà alcuna voce in capitolo sulla strategia del credito nei confronti delle imprese umbre!

Non così, noi crediamo, si può avere un polo bancario che abbia testa e cuore in Umbria: è vero che siamo piccoli, ma una accorta politica di alleanze potrebbe ancora produrre attorno, forse, all’unica banca regionale così definibile, un polo attrattivo di quanto di indipendente ancora esista per trovare un partner (non un padrone) in grado di assicurare autonomia di giudizio e capacità di intervento in scala con i problemi che le imprese umbre devono risolvere.
Decidere il destino di un’impresa umbra a Bologna o Milano è altra cosa che deciderlo in Umbria. Coraggio, dunque, forze economiche e politiche umbre, “be foolish, be hungry”, almeno su questa improcrastinabile questione!

*Direttore Cna Umbria
 

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