Esiste una norma basilare, incontrovertibile ed inattaccabile, a cui ogni persona civile non osa ribellarsi: le Costituzioni degli Stati moderni e democratici sono fondate sul principio assoluto ed universale della “major pars”, ossia della maggioranza.

Quando i cittadini, con il loro voto libero e segreto, manifestano la volontà, attraverso la maggioranza della metà più uno, di voler conferire il governo della “res publica” a taluno piuttosto che a tal’altro e, una volta accolto in via definitiva tale principio nella silloge delle leggi, osservata una politica autarchica oppure cooperativistica, nazionalizzati ovvero affidati alla privata iniziativa porzioni o il tutto di un sistema economico, concepito un piano di sviluppo governato dall’alto invece che regolato dal libero mercato, preferita la libertà dell’insegnamento al monopolio scolastico dello Stato o viceversa, scelto il sindacato unico obbligatorio rispetto ai sindacati plurimi e molteplici oppure il contrario, quando in sostanza la maggioranza dei cittadini ha votato, direttamente o per mezzo dei suoi rappresentanti, nell’uno o nell’altro senso, le sue deliberazioni diventano dirimenti, risolutive, legittime e conformi alla legge.

La questione democratica, e con essa tutte le questioni a lei stessa conseguenti, è così decisa e alla minoranza non rimane che inchinarsi al volere dichiarato dai più e, ciò, ha valore anche se la minoranza sia composta di quarantanove su cento e minima sia la disparità con la maggioranza dei cinquantuno. Se così non fosse, sarebbe certamente più antietico e irrazionale che i quarantanove comandino ai cinquantuno di quanto non sia morale e ragionevole che la volontà dei cinquantuno prevalga su quella dei quarantanove.

Tutta la logica del governo democratico risiede in codesto semplice, nudo ed ineccepibile ragionamento.

Tutto giusto, ma a chi Vi scrive tale giustezza non compiutamente persuade fino al punto da non poterla, quantomeno, sottoporre a giudizio critico e riflessivo. Avverto istintivamente che vi può essere una tirannia dei cinquantuno altrettanto disumana, altrettanto odiosa, altrettanto oppressiva come lo è la tirannia dell’uno o dei pochissimi sui cento.

Da secoli e forse da millenni la sapienza filosofica, ma anche quella popolare, ha imparato a distinguere tra la democrazia e la demagogia e, cioè, tra la democrazia che è il governo della maggioranza “vera” e la demagogia che è, invece, il governo della maggioranza “falsa”. Ambedue sono il governo che deriva dai cinquantuno sui cento e, pur tuttavia, vi è nell’aria, nel metodo di governare, nelle leggi, nello stile di vita, nei costumi, nelle relazioni sociali, nella vita spirituale, qualcosa che mi porta ad affermare che quello non è governo di popolo: non è infatti governo di una maggioranza che abbia tutti i requisiti necessari ad esercitare il diritto a governare.

Se la maggioranza rappresenta la “major pars”, non è detto che automaticamente sia la “sanior pars”, vale a dire la parte più sana e saggia della società e, così, può accadere che i “meliores” rimangano troppo spesso tra i meno ed i “pejores”, altrettanto troppo spesso, dominino sui più e parlino come se fossero la voce di tutti. Accade ciò perché tra i più sono numerosi gli ignari, i quali non hanno spiccata attitudine a giudicare le grandi questioni della “cosa pubblica”; vi sono inoltre i poltroni, pronti ad usare il potere di coazione delle pubbliche funzioni per vivere a spese di coloro che si affaticano nel lavoro e producono; vi sono ancora gli egoisti individualisti, riluttanti a sacrificare il momento che fugge alle ragioni dell’avvenire; e poi, infine, vi sono i procaccianti, prodighi promettitori alle folle di magnificenze e strabilianti realizzazioni.

Chi non conosce la difficoltà del mantenere, largamente promette e procaccia a sé l’ingenuo suffragio delle maggioranze; inganna così il popolo poiché non gli rivela che né le classi politiche e né i ceti dirigenti non sempre si identificano con i migliori, mentre invece il fine della società democratica è quello di identificare gli eletti con la “sanior pars” del ceto politico.

Oltre non voglio andare: basti ammonire il popolo elettore che, nello scegliere le maggioranze, è suo prioritario dovere accordare la propria fiducia a quelle, e soltanto a quelle, che siano in grado di offrire ampie garanzie nel saper esprimere i loro migliori talenti, sia per meriti, sia per competenze e conoscenze, e sia per costante applicazione allo studio.

Mario Tiberi

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