Ucraina, Nato e Russia (di Marina Sereni)
Malgrado i toni alti della Casa Bianca contro Mosca sulla crisi ucraina, “c’è una sostanziale unità tra alleati Nato e tra l’altro adesso, con Biden, il tema di come si comunica con gli Usa possiamo porcelo perché c’è un nuovo multilateralismo che con Trump non era possibile. Detto questo, la de-escalation deve venire soprattutto dalla Russia: vedere così tanti militari armati sui due lati della frontiera ucraina riporta alla mente il fatto che molte guerre non sono scoppiate per deliberazione politica ma per un errore di calcolo. Diminuire la tensione, allontanare le truppe, concludere le esercitazioni e ritirare i soldati è un segnale concreto per dire che la de-escalation è possibile e allora è anche possibile fare un passo avanti nel negoziato per costruire una Helsinki 2.0”.
Marina Sereni, viceministro degli Esteri, è a Bruxelles per partecipare alle iniziative legate al vertice Ue-Africa, che vedrà i 27 leader europei riuniti con 50 capi di Stato dell’Unione Africana il 17 e 18 febbraio. “Rafforzare la partnership con l’Africa serve a costruire l’autonomia strategica europea perché l’Africa non è solo luogo di crisi ma anche di opportunità”, ci dice Sereni, particolarmente impegnata sulla crisi nel Corno d’Africa, dove si recherà in missione a fine mese dopo i primi “segnali d’apertura da parte delle autorità etiopi” a valle della mediazione europea sul conflitto nel Tigrai. Partiamo dall’Ucraina. Sembra che ogni volta che gli europei, da Macron a Scholz a Draghi, riescono ad aprire uno spiraglio di trattativa con Putin, da Washington Biden o chi per lui si impegnano ad affossare il tentativo: gli Usa non abbandonano i toni alti.
La crisi ucraina è una crisi nel cuore dell’Europa e per questo ci preoccupa. Segna il peggioramento, come non si è mai visto negli ultimi decenni, dei rapporti tra Russia e Occidente. Insieme a tutti gli alleati, abbiamo chiesto segnali di de-escalation, ma prima di tutto devono arrivare dalla Russia che ha ammassato molte truppe ai confini dell’Ucraina e, come ha detto il presidente tedesco Stenmeier, ha messo un cappio intorno all’Ucraina. Le dichiarazioni di Putin nella conferenza stampa con il cancelliere Scholz, sono state distensive e sono stati annunciati dei ritiri, ma dobbiamo verificare che questo avvenga realmente. Penso che dopo una tensione così forte sia bene aspettare che agli annunci seguano i fatti. Con il ministro Di Maio, prima a Kiev, poi a Mosca, stiamo portando questo messaggio. Se la de-escalation si avvia veramente con i fatti, l’Ue e la Nato a quel punto avrebbero tutto lo spazio, in ambito Osce, per ingaggiare un confronto vero sulla sicurezza europea che è un tema che condividiamo con la Russia. Si tratta di costruire le condizioni per una Helsinki 2.0 e discutere di costruzione della fiducia, trasparenza, disarmo. Sono tutti temi di interesse reciproco per l’Ue, la Nato, la Russia. Attraverso questa crisi si delinea il futuro dell’Ue, nel bene o nel male. L’Europa si sta mostrando debole dal punto di vista geopolitico, malgrado sia riuscita a rafforzarsi nella pandemia con il Next Generation Eu e la campagna vaccinale. Cosa dovrebbe fare per costruirsi una propria identità nelle tensioni tra oriente e occidente?
Parto dal summit Ue- Africa cui partecipano 50 capi di stato africani, il 95 per cento di loro ha deciso di venire a discutere a Bruxelles con gli europei. È un grande investimento in termini geopolitici per l’Europa, che ha uno spazio per essere un attore globale se costruisce una strategia di partnenariato con un grande continente come l’Africa. Ci sono sfide globali - dalla transizione ecologica e digitale, l’uso dell’energia rinnovabile, il controllo delle immigrazioni, il contrasto del terrorismo - che ci inchiodano ad una partnership con l’Africa, continente che non è solo il luogo delle crisi ma anche delle opportunità, della crescita. È anche così che l’Europa costruisce la sua autonomia strategica a livello globale. Resta il fatto che sulla crisi ucraina Stati Uniti e Ue usano registri di comunicazione diversi: da quel lato dell’oceano arrivano attacchi e toni sempre alti; da questo lato, mai un tono alto, sempre ricerca di vie diplomatiche. Non sarebbe il caso di chiarirsi con Biden?
C’è una sostanziale unità tra alleati Nato. Poi le sfumature ci sono anche tra gli europei, com’è noto. Intanto va detto che ora il tema di come si comunica con gli Usa possiamo porcelo perché c’è un nuovo multilateralismo che con Trump non era possibile. Detto questo, non credo ci siano differenze sostanziali con gli Usa in termini di principi. Ovviamente noi europei siamo i diretti interessati alla vicenda ucraina, perché le conseguenze di un’eventuale guerra ricadrebbero direttamente sull’Europa, in termini materiali, di danni economici, esodo di profughi. Ci sta che ci siano accenti diversi, ma nella sostanza mi sembra ci sia unità e disponibilità degli Usa a lavorare con gli europei.
Però mantenere alta la tensione alimenta il rischio di incidenti che possono far degenerare le cose… Per questo dico che la de-escalation deve arrivare soprattutto dalla Russia: vedere così tanti militari armati sui due lati della frontiera ucraina riporta alla mente il fatto che molte guerre non sono scoppiate per deliberazione politica ma per un errore di calcolo. Dobbiamo sapere che diminuire la tensione, allontanare le truppe, concludere le esercitazioni e ritirare i soldati è un segnale concreto per dire che la de-escalarion è possibile e allora è anche possibile fare un passo avanti.
Missione in Corno d’Africa: cosa significa per l’Italia? Abbiamo un legame particolare con il Corno d’Africa e vediamo segnali di instabilità preoccupanti, in particolare modo per via della crisi in Etiopia. Abbiamo sostenuto la posizione dell’Ue, chiedendo la cessazione delle ostilità, l’accesso agli aiuti umanitari, l’allontanamento delle truppe eritree dal paese e che le violazioni dei diritti umani fossero perseguite. Sembravano appelli caduti nel vuoto ma da alcune settimane notiamo alcuni spiragli. C’è una mediazione in corso tra il nigeriano Olusegun Obasanjo, la mediatrice dell’Ue Annette Weber, il mediatore Usa David Satterfield e il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta. Sembra ci sia un’apertura da parte delle autorità etiopi con la decisione di fermare le truppe federali al confine del Tigrai e liberare alcuni prigionieri politici. Ieri il parlamento ha deliberato la fine dello stato di emergenza. Noi stiamo valutando questi come elementi positivi. Chiediamo alle autorità etiopi di continuare su questa strada con due priorità: cessazioni totale delle ostilità e accesso alle aree di crisi per le ong impegnate con gli aiuti umanitari. Non c’è solo il Tigrai, le aree limitrofe pure sono colpite dalla crisi e in alcuni casi sono ancora difficili da raggiungere. L’Etiopia è perno fondamentale della stabilità del Corno d’Africa: se lì la crisi continua, rischia di devastare tutta la regione. Abbiamo approfittato di questa due giorni europea per approfondire e a fine mese andremo lì per fare il punto sulla cooperazione italiana allo sviluppo e sugli aiuti umanitari.
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