Terni e il Manuale Cencelli (Simone Gobbi Sabini per Micropolis)
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In queste due righe l’essenza, per bocca del suo ideatore, del manuale della spartizione, che ha regolato per lungo tempo la vita politica italiana. Quel Cencelli, Massimiliano all’anagrafe, che in nome dell’orizzontalità, con cui la democrazia cristiana, attraverso le sue correnti e i suoi capibastone (cacicchi nel vocabolario odierno dei democratici), ha governato il Bel Paese in lungo e in largo, visto con gli occhi di oggi assurge al ruolo di gigante, un vero e proprio metronomo della razionalità. Il potere, che mai come oggi condiziona la politica, invece di esserne indirizzato, logorerà pure chi non ce l’ha, come dimostrato ampiamente dalla trasversalità che caratterizza la corsa alla poltrona a prescindere da ideali politici e principi etici, ma inebria, o meglio, fa perdere il contatto con la realtà a chi pensa di poterne disporre a propria immagine e somiglianza. Tutto il mondo è paese, così come in ogni paese possono trovarsi angoli di mondo, e Terni, oltre a non fare eccezione, si può definire paradigmatica, perché mai come in questi giorni riesce a cristallizzare, in una cinesi fatta di corsa sul posto a mo’ del criceto e della sua inseparabile ruota, tanto la frustrazione e il logorio dell’opposizione restia al coalizzarsi, quanto il vanitoso rispecchiarsi su sé stessa della riottosa coalizione di maggioranza. Eh sì, a meno di due mesi dalle elezioni comunali, oltre al pullulare di candidati sindaci reali e conclamati, vi è un balletto senza fine su candidati annunciati e mai ufficializzati. Insomma unendo il reale con l’annunciato e il conclamato con il non ufficializzato si rischia di avere, vista la tendenza spinta verso un astensionismo dai chiari contorni di rifiuto più che di disinteresse, più candidati sindaci in ballo che elettori alle urne. Ma, tornando alla dualità: minoranza logorata; maggioranza inebriata, l’impaccio di chi il potere l’ha sempre avuto per poi perderlo rovinosamente e la goffaggine autoreferenziale di chi il potere non l’ha quasi mai avuto al punto di considerarlo oggi proprietà esclusiva, sono le tipiche due facce, il PD da una parte e la destra centro dall’altra, della stessa medaglia. Una politica che non si mette più al servizio dei cittadini, ma che è schiava di un potere totalizzante, che abbisogna, è la democrazia bellezza, con temporalità determinata, del voto dell’elettore. Un elettore visto come notaio passivo necessario e non come agente attivo partecipante, un elettore chiamato non a concorrere alla stesura dei programmi, ma alla semplice ratifica di quanto stabilito e concordato nelle stanze dei bottoni. E quindi da una parte l’incapacità del PD di dar vita al nuovo corso e di accettare, nel caso di Terni, l’evidente necessità di una coalizione, che oltre a ribaltare il governo rotatorio degli slogan securitari e delle privatizzazioni andanti della destra, sia in grado di dare risposte altre rispetto al governo degli ultimi dieci quindici anni di centrosinistra, dall’altra una destra così certa della vittoria, da sacrificare, una Terni in crescente difficoltà e in perenne crisi socio/economica, sull’altare degli equilibri di potere interni, così conflittuali e riottosi da doversi sottomettere alle scelte calate dall’alto dei palazzi romani. Una sorta di autonomia centralizzata dal sapore beffardo e dalla retorica melensa. Prima o poi il balletto delle candidature finirà, non finirà invece il corto circuito di chi brama potere dimentico di ogni etica politica. Terni, per uscire da uno stagno che rischia di farsi palude, ha bisogno del protagonismo di ogni cittadino, ha bisogno dell’essenza della democrazia, sua maestà la partecipazione. Una regola base che oggi, di fronte al gran ballo delle poltrone e dei diktat incrociati, assurge ad assioma senza se e senza ma. Fare buon viso a cattivo gioco, tenersi in disparte nel momento del bisogno, potrebbe rappresentare il colpo di grazia per la conca. Non resta quindi che tornare protagonisti, non come semplici ratificatori dei disegni altrui nel chiuso delle urne, ma come portatori di diritti e di istanze nell’aperto delle piazze.
Simone Gobbi Sabini
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