Di Giampaolo Ceci

Cosa significa essere onesti? L’aggettivo deriva dal latino "honestus" che a sua volta deriva dalla parola "honor": onore. Una persona onesta, insomma, è una che vive con un grande senso di onore e di conseguenza compie azioni onorevoli ovvero degne di approvazione.
Il concetto è sottile perché l’aggettivo non fa riferimento ad alcuna entità “misurabile”. Per alcuni sono “onorevoli” azioni che per altri sono invece disdicevoli.
Qual è quindi il parametro oggettivo che consente di stabilire se un’azione sia o no “onorevole” ovvero degna di approvazione?

La questione non si può porre in termini soggettivi, ma dovrebbe derivare da valori etici condivisi universalmente.
Un compito non facile; ed infatti ancor oggi sul nostro pianeta ci sono diverse controverse concezioni del bene e del male.

La questione non è nuova e trova autorevoli filosofi che la hanno affrontata fin dall’antichità.
Dirompente per il tempo fu l’avvento di Jesus (in quanto filosofo) che “ribaltò il concetto di bene dei Romani che era legato all’utilità. Per loro “il Bene” era ciò che conveniva, ovvero: "che creava utilità e soddisfazione", seppure avessero un corpus giuridico avanzato che invece già sottintendeva il concetto del “bene” altruistico dei cristiani.

A questa concezione del concetto di “bene”, i primi cristiani ne contrapponevano una diversa e innovativa: “Bene” era ciò che ciascuno avrebbe voluto fosse fatto a se.
La conseguenza? “Bene” per i romani era sfruttare gli schiavi e fare guerre di conquista per depredare i vinti, per il cristiano invece la stessa cosa era “male”.
Un concetto così semplice e facile da comprendere, quello dei cristiani, che la società romana del tempo ne fu scossa fin dalle radici, perché significava distruggere le motivazioni dell’organizzazione sociale e politica di Roma.
Non a caso Roma decadde quando i principi cristiani ebbero il sopravvento.

Eppure, a ben pensarci, definire il concetto di “Bene” e di “Male” dovrebbe essere il tema più importante per l’umanità perché consentirebbe di stabilire, nella vita come nelle ideologie politiche, se i principi fondanti siano onorevoli o invece deprecabili.
Se vi fosse una definizione univoca e condivisa del concetto di “bene” ci sarebbe anche una bussola certa su cui valutare la collocazione di ogni azione e ragionamento. Purtroppo questo concetto condiviso, ancora non c’è e temo non sia neppure in agenda. Ecco uno dei motivi per cui non si riesce ancora a istituire un governo unitario del pianeta.

Per alcuni stati è radicato il principio altruistico dei primi Cristiani per altri quello degli antichi Romani.
Per alcuni la violenza è male per altri è un bene perché unica possibilità per soddisfare i propri bisogni o imporre l’ordine sociale in cui si crede.
Resta che non è per nulla scontato che una concezione sia giusta e l’altra sbagliata avendo entrambe solidi argomenti su che giustificano razionalmente le diverse concezioni.
Ciascuna corrente di pensiero è convinta di detenere la verità e si mostra inamovibile nei suoi convincimenti.

Di questi tempi mi pare che il concetto di “bene” degli antichi romani stia prendendo il sopravento anche nelle società occidentali di cultura cristiano-giudaica, nonostante che il concetto di bene sia ormai radicato nella cultura e nelle leggi, almeno a giudicare dalle volte che la cronaca riporta avvenimenti che trovano la loro motivazione dal desiderio di soddisfare il proprio interesse, fregandosene se danneggiassero altri.

Oggi quest’apparente caduta dei valori “cristiani”, ma in generale di ogni vecchio “valore”, sta generando due fenomeni ben visibili.
Il primo riguarda il fatto che le società stanno diventano sempre più individualistiche. Ciascuno pensa per se e tollera privilegi o discriminazioni di una categoria di cittadini rispetto ad un’altra, qualora questi fatti non lo coinvolgono direttamente.

Ne sono un esempio, le raccomandazioni, i favoritismi, i privilegi reclamati delle lobbie. Oggi ci si meraviglia, infatti, se chi trova un portafogli lo restituisce al proprietario!
Il secondo riguarda la diversa valutazione del concetto di bene quando si tratta di fare uso della violenza contro un altro Stato sovrano, magari per portargli via le risorse naturali di cui dispone, o subdolamente per impadronirsi senza colpo ferire, delle sue risorse intellettuali o economiche.

In questo caso neppure si pone il problema etico (Leggi: ultima guerra contro la Libia).
Gli interessi generali degli Stati (o meglio dei grandi gruppi economici o ideologici che ne determinano le politiche) giustificano tutto, quasi che potesse esistere una doppia morale: una per i singoli, una per gli stati.
La vecchia guerra aperta e cruenta non è più ingiustizia (nella concezione cristiana), ma diventa “economia di mercato” (ovvero assume i valori degli antichi romani).

In ambito economico anche nella “cristiana” Europa è normale fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto a te. Ogni atto altruistico è visto con sospetto. La Grecia e i greci possono pure fallire in pace.
I concetti di bene e di male assumono sempre più (con le solite eccezioni) la dimensione utilitaristica; proprio come facevano gli antichi romani di 2.000 anni fa.

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