Ora i disperati liberisti nostrani e il loro campione messo a capo del governo, Monti, che, per quante ne facciano, non riescono a far quadrare i conti (perché la crisi avanza, la disoccupazione cresce e lo spread…non molla), hanno inventato una nuova parolina magica: lo “spending review” che, tradotto letteralmente dall’inglese, significa revisione della spesa ma che, in maniera più aderente alla realtà, si dovrebbe leggere: “presa in giro”. Governo, mondo politico, media, tutti dietro alla nuova moda, che costituisce la salvifica speranza e la nuova frontiera della agognata (altra parola magica) “crescita” italiana!
Perché lo spending review è una presa in giro? Perché non c’è più niente da tagliare e perché il taglio della spesa pubblica - si, in una certa misura anche quella corrente in tempi di crisi -, ammesso che sia ulteriormente possibile, ammazza l’economia e non porta nessun significativo giovamento alla ripresa.
Da circa venti anni ogni governo che viene eletto la annuncia e, più o meno, la pratica effettivamente. Dal primo Berlusconi, a Prodi, a D’Alema, ad Amato, ancora a Berlusconi e via di seguito fino ad oggi, tutti hanno adottato interventi, piani, misure di tagli, anch’essi più o meno draconiani, al bilancio dello Stato. Voglio ricordare tra parentesi che l’attuale ministro Guarda, che sembra che scopra oggi il problema, è stato sottosegretario nei primi governi del centro sinistra e non si capisce chi gli impedì allora di fare quella selezione mirata delle spese che vorrebbe fare ora. Dovrebbe essere ancora in vigore e quindi cogente, una legge, se non ricordo male approvata da uno dei governi Prodi, che impegna i Ministeri a ridurre ogni anno del 10% la loro spesa corrente. Più spending review di questo!?
Sorge una domanda: erano vere o false queste misure? In parte erano propaganda, ma in buona parte erano, purtroppo, vere: la spesa pubblica è stata (e di che tinta!) tagliata, tant’è che, sebbene con un andamento non lineare né omogeneo a seconda degli anni, il bilancio dello stato è tornato a segnare, in molti anni, l’avanzo primario, cioè si presenta in attivo al netto degli interessi sul debito. Per venire agli ultimi tempi, anche la finanziaria 2012 di Tremonti e Berlusconi prevedeva il raggiungimento di un attivo che è ulteriormente “migliorato” dopo la “cura”, chiamiamola così, del nuovo governo tecnico, che valuta l’avanzo primario nei prossimi anni vicino al 10% annuo. Una cifra di tutto rispetto che, se lo Stato fosse un’azienda privata, ne decreterebbe la ottima salute e il successo finanziario. Si badi bene che se il rapporto debito/Pil, in questi anni, non è diminuito in maniera soddisfacente, non lo si deve al fatto che non siano state tagliate le spese, quanto invece al fatto che (per effetto della scarsa crescita economica e della perdurante e crescente evasione fiscale) non sono sufficientemente aumentate le entrate.
Del resto, quando a chi, malauguratamente, va all’ospedale gli si chiede, come accade, di portare le medicine o le garze o, a chi va a scuola, la carta igienica, che c’è ancora da tagliare?! Al punto in cui siamo, per realizzare risparmi significativi nel bilancio pubblico, non c’è che una unica possibilità reale: licenziare i dipendenti, poiché è dal pagamento dei loro stipendi che dipende più dell’80% della spesa dello stato. E’ possibile?!; è realistico?!; è giusto?!
Ma poi, chissà perché, quando si parla di tagli alla spesa pubblica, mi viene in mente un piccolo, nobile comune della nostra Umbria e della nostra Italia: Città della Pieve. A Città della Pieve c’è ancora un ospedale - in realtà si è ridotto ad essere un poliambulatorio un po’ più grande - che, effettivamente, in una logica aziendalista, andrebbe chiuso. Però a Città della Pieve, città con un alto tasso di invecchiamento della popolazione, se chiude l’ospedale, chiuderebbero negozi, qualche ristorante, altre strutture commerciali e di servizio, legate alla esistenza del piccolo nosocomio. Morale: i soldi che si risparmierebbero chiudendo l’ospedale, si perderebbero, con gli interessi, con la crisi di una intera economia che, a parte un turismo di transito, non può contare su altre risorse. Quante Città della Pieve ci sono Italia!?, quante ce ne sono soprattutto al sud, dove per intere comunità anche i soli acquisti degli enti locali per la cancelleria, contribuiscono a sostenere situazioni economiche altrimenti disperate?
Parlano di ridurre la presenza dello Stato, per fare posto al dinamismo del capitale privato! Si, certo, se fosse vero quel mondo immaginario che, ogni momento, ci descrivono e cioè un mercato che produce investimenti, ricchezza, lavoro! Ma, dove!?, se gli stati nazionali e tutti i contribuenti si stanno svenando per riparare alle perdite e ai disastri originati dal mercato!
La verità vera, che economisti coraggiosi cominciano ad ammettere sfidando il muro del conformismo, è che, in Italia e in Europa, se non c’è un rilancio selettivo e qualificato degli investimenti pubblici, l’economia non riparte.
Il governo tecnico dei banchieri non lo vuol ammettere e non lo vuol fare e allora, pur sapendo di vendere bugie e illusioni, si inventa gli spending review per tenere buona l’opinione pubblica e alimentare il discredito del pubblico a vantaggio degli affari dei privati.
Bisogna mandarli via prima possibile!

Leonardo Caponi


Ps: Mentre finisco di scrivere questo pezzo, ho notizia che il governo ha nominato Bondi, ex liquidatore Parmalat, commissario straordinario per i “tagli”. Bene, un altro banchiere, tecnocrate, che entra in scena. Così avremo la assoluta garanzia che dal bilancio pubblico tutto potrà essere tagliato meno che le risorse, ingenti che, per via diretta o indiretta, lo Stato ha assicurato e assicura al capitale finanziario e speculativo. Vergogna!, di Monti e di chi lo sostiene!
 

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