Le trattative sul piano di ristrutturazione dell'Indesit sono state dunque rotte con l'azienda che intende confermare gli esuberi e le delocalizzazioni all'estero delle produzioni, a partire da quella nella Turchia di Erdogan dove i diritti, come si è visto, valgono zero e dove è ancora in atto una brutale repressione della protesta e del conflitto sociale democratico.

Ciò vuol dire che ai limiti ed alle incapacità del capitalismo industriale italiano di competere sul pur difficile mercato del bianco con l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo tecnologico, un giudizio che pesa anche su una proprietà ed un management fino ad oggi ritenuti socialmente sensibili, si risponde inseguendo il miraggio dell'abbattimento del costo del lavoro, laddove esso è ridotto alla stregua di una merce e dove il liberismo non si è mai sposato con la democrazia. Crediamo necessario, in questa fase delicatissima della vertenza, che tutte le istituzioni locali e le forze sociali delle Marche e dell'Umbria e delle altre realtà interessate dalla chiusura degli stabilimenti, confermino la loro determinazione e la loro coesione nel respingere con ogni mezzo i piani sciagurati di Indesit, sostenendo la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori.

Nella situazione data è fondamentale che il governo ed il ministero dello sviluppo economico prendano immediatamente in mano la situazione e scongiurino il perpetrarsi di un'altra sciagura industriale nel nostro Paese, ponendo in essere ogni intervento utile a fermare la volontà di Indesit Company, senza perdere un solo momento in più.

Non è possibile che nel mentre si varano gli 80 provvedimenti pressochè inutili del cosiddetto Decreto Fare, si consenta ad una delle ultime grandi aziende italiane di fuggire all'estero e mettere sulla strada altre migliaia di lavoratrici e di lavoratori e decine di imprese dell'indotto. Non vorremmo che questo sia un altro governo del “lasciar Fare”, senza alcuna idea di politica industriale attiva e senza alcuna consapevolezza del declino industriale in cui versa il Paese, ideologicamente ostile al pari dei precedenti ad ogni ipotesi di intervento pubblico nell'economia reale che solo, nelle condizioni attuali, potrebbe contribuire a difendere il nostro patrimonio industriale, una volta abbandonate le follie recessive dell'austerità e rotti i vincoli europei.

La partita che si sta giocando all'Indesit è cruciale: se l'azienda la dovesse spuntare nel disinteresse o, peggio, nella sostanziale condivisione del governo, si sfonda il barile e si aprirà la via ad un definitivo crollo dell'industria nazionale. E' per questo che, nel caso, non bisogna ripetere gli errori del recente passato che ci hanno riguardato così da vicino per l'Antonio Merloni e la Faber/Franke: la vertenza Indesit è nazionale e come tale va affrontata, ricorrendo anche all'occupazione delle sue fabbriche da parte delle lavoratrici e dei lavoratori ed alla minaccia concreta di una loro nazionalizzazione da parte del governo.

 

Per la sinistra per Gualdo

Gianluca Graciolini

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