Perugino: la mostra è finita i quadri se ne vanno (Vanni Capoccia)
La mostra alla Galleria Nazionale dell’Umbria su Perugino è finita, i quadri torneranno nei musei da dove sono venuti rimangono le sensazioni e i pensieri avuti da visitatore: Marco Pierini e Veruska Picchiarelli. Concentrandosi su Pietro Vannucci di Firenze hanno fatto centro perché c’è poco da fare se si vuol vedere il Perugino quand’è bello “a Firenze tocca andà”. E dagli Uffizi sono arrivate opere importanti a partire dalle tre tavole di San Giusto alle Mura, ma tutto il livello della mostra era alto e dimostrava perché Perugino fosse stimato il meglio maestro d’Italia. Inoltre sono riusciti a far diventare la mostra un avvenimento creando attenzione su di essa in Italia e all’estero e le file fuori dal Palazzo dei Priori fino al botteghino lo hanno dimostrato. Soprattutto l’hanno fatta amare da tanti perugini e perugine che non se la sono voluta perdere continuando a parlarne dopo averla visitata: l’arte non solo per gli esperti, i soliti appassionati, i turisti “mordi e fuggi” ma vicenda popolare che coinvolge una città è il loro merito più grande.
Il catalogo. Quando si inaugura una mostra il catalogo deve essere pronto sul bancone della biglietteria dal giorno prima. Il meglio, a volte, è nemico del bene. Il Perugino. A Firenze intorno agli anni ‘90 del ‘400 non si diventava a caso un numero uno della pittura e la mostra ha reso evidente il ruolo che gli spetta nella storia dell’arte. Verrocchio e Piero della Francesca. Verrocchio è il maestro ma le opere esposte hanno confermato in Pietro Vannucci consonanze pierfrancescane. Nella sua luce, nella sua contemplativa religiosità, nella “Sublimazione senza dramma” (Carlo Castellaneta) c’è un’astrattezza che non a caso colpì il metafisico De Chirico
La “Preghiera nell’orto” di San Giusto alle mura. L’ho guardata e ho visto la Resurrezione di Piero della Francesca a San Sepolcro. La “Pietà” di San Giusto alle Mura. L’opera più bella tra quelle esposte, è stato amore a prima vista, mi sono perso dentro quelle mani preganti e nella sua straniante dimensione religiosa. Lo “Sposalizio della Vergine”. Teneri il gesto della Madonna che mette la mano sulla pancia annunciando quello che sarà e il san Giovannino sulle scalette del tempio che pare attendere la nascita di Gesù mentre un uomo seminudo sulla piazza ricorda Cristo risorto. La cosa più bella la luce pare, pur
lasciando ombre, non avere una fonte ma nascere dal quadro, l’aria e il cielo danno l’impressione d’essere quelle di Perugia quando la “tramontanina” spazza via impurità e nuvole lasciando tutto limpido e celeste. Per il resto lo Sposalizio è impeccabile e un po’ algido ma che piacere vederlo nella sua città.
“L’Apparizione della Vergine a san Bernardo”. Il quadro che avrei voluto ci fosse. Ma è meglio così, le assenze sono il motore del desiderio, il desiderio della voglia di fare, andare, cercare.
Perugia. Il Perugino ha indicato a perugini e perugine un modo di fare cultura e turismo bello come i suoi quadri: dolce e lento, redditizio e accogliente, efficace e non invadente, popolare e non popolaresco, di provincia e non provinciale.
Marco Pierini. Come direttore della Galleria ha dimostrato le sue capacità tante volte, prima di tutto dando spazio e opportunità a collaboratrici e collaboratori creando intorno a sé entusiasmo e voglia di fare. Ha reso la Pinacoteca familiare ai perugini, con la sua gestione abbiamo “scoperto” Taddeo di Bartolo e sono temporaneamente tornate nella loro città la “Pala dei Decemviri” e lo “Sposalizio della Vergine” del Perugino.
Veruska Picchiarelli. Storica dell’arte preparata e stimata. Innamorata del suo lavoro, sa comunicare e spiegare senza essere saccente. È già, e lo diventerà ancora di più, tra i migliori storici dell’arte medievale in circolazione in Italia.
I musei. Non sono un’attrazione turistica, non sono una macchina per far soldi contenitori di quadri e sculture per un pubblico pagante. Servono al progresso spirituale, morale e civile delle persone e d’una comunità, a dar senso alle nostre esistenze, a farci cittadini più consapevoli. Le opere d’arte. Non sono per sempre, sono un creato degli uomini e delle donne come tale hanno tutte una nascita, un’esistenza, una fine. Dobbiamo volergli bene, accettare i segni del trascorrere del tempo e della storia sulla loro pelle, custodirle, tutelarle, proteggerle da noi stessi, sentire un vuoto alla loro morte.
L’arte. Ci mette in contraddizione e in difficoltà, ci fa sentire piccoli, amplia le nostre conoscenze, ci valorizza, ci rende persone più libere e aperte. È un archivio per il futuro e per sua natura è universale; appartiene all’umanità per gli sguardi, le parole, i gesti che dalla preistoria deponiamo su di lei. È per
questo che senza riserve le dovremmo spalancare il cuore permettendole di svolgere la sua funzione sentimentale connettendosi con la nostra parte più intima restituendoci così migliori di come saremmo senza di lei.
Vanni Capoccia
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