Premessa: Ccn questa breve storia vogliamo iniziare un dibattito attorno alle tematiche, sempre attuali, della Perugia, sia per celebrare i 50 anni dello Statuto dei Lavoratori che nel ricordo di coloro che si sono battuti con impegno e lotte per il movimento ed il benessere dei lavoratori.

L’inizio

Il 12 Giugno 2017 la Rsu della Nestlè-Perugia e i sindacati confederali annunciarono, in una conferenza stampa: 364 esuberi nello stabilimento ex Perugina di San Sisto, la cessione di marchi importanti e una ristrutturazione produttiva. Per capire bene occorre tornare a 113 anni prima, quando l’azienda è nata.

Perugia, di origine antichissima, posta sopra alcuni colli e racchiusa nelle antiche mura etrusco-medievali, alla fine dell’Ottocento aveva circa 60 mila abitanti, una città di provincia che vantava una storia lunga e gloriosa, con vestigia ed opere d’arte. La sua economia, a parte il comparto pubblico e la classe dei proprietari terrieri, era composta essenzialmente da una popolazione povera, agricola, da un artigianato diffuso e da piccole iniziative produttive.

La situazione tende a modificarsi solo all’inizio del XX secolo per i grandi cambiamenti che ci sono stati tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del novecento. È il momento in cui si è affermata la seconda rivoluzione industriale, portata dalle nuove conoscenze tecniche, con conseguenze non solo economiche ma anche culturali e sociali. Le classi dirigenti, allo svilupparsi di un relativo benessere, sembrarono vivere in un sogno (la belle Époque) infatti stavano covando tutte le premesse per lo scoppio della I° guerra mondiale. Fra il 1906 ed il 1910 si assistette alla nascita di numerose iniziative imprenditoriali grazie, anche, ad alcuni provvedimenti governativi destinati allo sviluppo industriale del territorio. La piccola industria rappresentava la stragrande maggioranza del tessuto produttivo in tutta la regione, con connotati strettamente artigianali. Quella media era composta da imprese legate all’attività agricola e da quelle che vivevano come sussidiarie di altre aziende. La grande si sviluppò a Terni, Foligno e Perugia, ma era assente in altri centri regionali. In questo quadro si cominciò a parlare di società di massa, con tutte le implicazioni che ne conseguirono. Perugia e il suo territorio, in piena trasformazione economica e sociale, iniziarono a sviluppare imprese industriali importanti e di notevole impatto economico. La figura dell’operaio si affermò notevolmente in quegli anni. Le prime imprese furono caratterizzate da investimenti e personale direttivo proveniente da altre regioni. Solo pochi esempi nasceranno per volontà dei cittadini locali. In una società in trasformazione, di povertà diffusa, crebbe anche l’emigrazione verso l’estero. Nacquero le prime forme di associazioni operaie di Mutuo soccorso, i lavoratori presero coscienza della loro difficile condizione. Alcune si trasformeranno in Leghe e proclameranno scioperi importanti.

La Perugina fu fondata in questo contesto di fermento sociale ed economico. Nel 1901 Luisa Sargentini, perugina, insieme al marito Annibale Spagnoli, di Assisi, rilevarono un negozio di drogheria per la fabbricazione di confetti. Situato in quattro piani scomodi e oscuri di un palazzo nobiliare del centro storico, dopo poco tempo entrò in crisi. Lo rilevarono alcuni soci, tra cui Francesco Buitoni titolare di un piccolo pastificio a Perugia. La Società perugina per la fabbricazione dei confetti venne costituita il 30 novembre del 1907 con un capitale di 100.000 lire.

Oltre Luisa, nessuno dei soci fondatori era di Perugia. I primi anni furono difficilissimi, tanto che in città la fabbrica era chiamata: Società perugina per la fabbrica degli effetti. Le cose cominciarono a cambiare dal 1909, quando la direzione venne affidata al giovane Giovanni Buitoni. Il Comune di Perugia nel 1911 concesse l’uso del marchio Grifo alla nuova società: un fatto pubblicitario molto importante. Una gestione lungimirante e manageriale portò, subito, a sentire la necessità di nuove strutture. Infatti dai 15 operai iniziali si passò ai 50 del 1913: trentasei uomini e 14 donne, di cui 4 sotto i quattordici anni, che lavoravano dieci ore al giorno per un salario che variava da 75 centesimi a 4 lire.

La società in trasformazione

L’azienda nel 1915 si trasferì nel nuovo stabilimento nel quartiere di Fontivegge con 150 addetti. Nel frattempo erano cambiate le condizioni del mercato e perciò venne ampliata la gamma dei prodotti, i nuovi macchinari erano in grado di aumentare notevolmente la produzione. Dopo la guerra e le immancabili difficoltà, si aprirono spazi nuovi nel mercato del cioccolato.

Nel 1920 la società fu chiamata prima La Perugina-Cioccolato e Confetture poi Perugina. L’azienda, nella metà degli anni venti, adottò una politica di razionalizzazione e di innovazione: per la concorrenza, l’aumento del prezzo delle materie prime, la difficoltà di accedere ai finanziamenti ed esportazione delle merci. L’introduzione della catena di montaggio e del sistema Bedaux di valutazione e remunerazione causò la riduzione del personale che scese dai 600 addetti del 1925 ai 426 del 1928 con un aumento della produzione per il maggior sfruttamento del lavoro. In quel periodo il fascismo abolì le Commissioni Interne. Nel 1935 un fortissimo impulso alle vendite venne dato dal famoso concorso radiofonico I quattro moschettieri: un successo strepitoso che causerà, in seguito, dopo la chiusura da parte del governo, difficoltà all’azienda. Negli stessi anni venne creato, quasi per caso, il prodotto che ancora oggi è rimasto insuperabile: il Bacio. L’occupazione, dopo alterne vicende, nel 1939 tornò a crescere sino a 665 unità.

La ripresa dopo la guerra

L’azienda, passato il periodo della II guerra mondiale e riparati i danni allo stabilimento, riprese l’attività e tornò a fare utili. Nel 1943 furono reintrodotte le Commissioni Interne. La produzione aumentò notevolmente negli anni cinquanta in un mercato in forte espansione per la domanda di cioccolato. Crebbero parimenti sia lo sfruttamento della manodopera, sia gli occupati che nel 1961 arrivarono a 1.825. Molti operai lavoravano, ancora, oltre dieci ore al giorno. Come durante la Grande guerra, anche a cavallo della Seconda, le donne occupate in azienda erano la maggioranza del personale, e hanno ricoperto incarichi direttivi o di responsabilità nei reparti e negli uffici. Poi sono state sostituite dalle nuove generazioni, con una scolarizzazione maggiore.

Con il ritorno in fabbrica del sindacato alla fine degli anni cinquanta, la Commissione Interna riprese vigore con iniziative importanti e autonome. Si affermò la contrattazione articolata che, oltre a miglioramenti economici e normativi, ottenne il diritto di contrattazione a livello di settore: cottimo, premio produzione, qualifiche e orario di lavoro. Per la valutazioni delle mansioni l’azienda introdusse la Job Evaluation, cioè l’analisi complessiva del posto di lavoro: molto osteggiata, in seguito, dal sindacato. I giovani più politicizzati e sindacalizzati ridiedero vita ad un sindacato che, dopo il conflitto mondiale, era stato molto filo padronale. Gli aumenti di produzione e di vendita realizzati dalla Perugina furono nettamente superiori alla media, tanto che l’incidenza della produzione su quella dolciaria nazionale, specialmente nel settore del cioccolato, aumentò considerevolmente. Il favorevole andamento delle vendite consentì di accrescere sensibilmente il numero dei dipendenti che, per la prima volta nella storia della Società, toccò le duemila unità.

Gli anni del boom e delle lotte

Ma la svolta decisiva avvenne quando le forze politiche, il sindacato e le istituzioni presero coscienza del significato e del ruolo di prospettiva dell’azienda, nell’ambito dello sviluppo economico e sociale della città e del territorio. Si sviluppò, allora, un dibattito sul sito in cui costruire il nuovo stabilimento. Di fronte a varie opzioni, anche più favorevoli, si riusci a creare un’ampia convergenza tra le istituzioni, i sindacati e la popolazione perché venisse costruito in un luogo vicino a Perugia. La scelta cadde sul quartiere di San Sisto. Il nuovo stabilimento grande, arioso, e pieno di macchinari moderni portò all’aumento dei volumi produttivi, il miglioramento della qualità e l’aumento della produttività. Altre conseguenze importanti furono: parcellizzazione delle mansioni, introduzione del cottimo, maggiori condizioni di sfruttamento, produzioni di massa. I riflessi nel territorio: nuovi quartieri, strade, infrastrutture. Inoltre nuova occupazione (2.500 addetti) e ripresa dell’attività sindacale in cui si distinsero tre donne: Marcella Cesarini, Vanda Belladonna e Lina Fiandrini. Sia nella Commissione interna che nelle strutture successive, le donne sindacaliste hanno rappresentato un riferimento importante e determinante, anche nei rapporti con le operaie e le impiegate. In seguito emerse Italo Vinti, ex partigiano e politico. Benvoluto da tutti e stimato pure dai dirigenti aziendali: un mito dentro la fabbrica. Quando si è ripresa la lotta, dopo la repressione degli anni ‘50, anche i lavoratori della Perugina hanno partecipato, con convinzione, alle grandi lotte per le riforme e le conquiste in fabbrica: contratti nazionali, aumenti salariali, pensioni e soppressione delle gabbie salariali. È di questo periodo la sostituzione dell’assegno sindacale con la delega. Alle nuove conquiste si oppose una forte repressione padronale. Fu necessario, quindi, spingere le organizzazioni sindacali ad un comportamento unitario per contrapporsi ai padroni. Tra il 1965 e il 1966 furono costituite le Sezioni aziendali sindacali poi si giunse alle contrattazioni del ‘68-‘69 quando, per la prima volta, gli operai riuscirono ad ottenere risultati apprezzabili. Infatti, una delle prime esperienze in Italia, vennero eletti su scheda bianca prima i delegati di cottimo poi i rappresentanti di reparto e si ottenne l’assemblea aziendale prima ancora che questa venisse riconosciuta dallo Statuto dei Lavoratori.

Con lo Statuto e la creazione di gruppi omogenei furono eletti i delegati di reparto e ufficio che costituirono il Consiglio di Fabbrica. Un traguardo di partecipazione diffusa, di democrazia industriale: una struttura che rappresentava tutti. Sono state raggiunte conquiste importanti: classificazione unica, parità uomo-donna, maggiorazione del turno notturno e festivo, investimenti per l’ambiente, diminuzione della stagionalità, borse di studio per i figli meritevoli dei dipendenti, fondo di solidarietà, opera assistenza superstiti e circolo sociale. Infine il superamento del cottimo e, a livello nazionale, il punto unico di contingenza. Giovanni Faina è stato l’artefice, negli ultimi dieci anni, del grande sviluppo della Perugina, con la quota di mercato in Italia passata dal 5 al 35%. Lo slogan rimasto famoso fu: I cioccolatini Perugina, il dono delle ore liete. Nel 1967 il nuovo, giovane e intraprendente amministratore delegato Paolo Buitoni prese le redini dell’azienda ed impresse una svolta importante: un disegno e una strategia lungimirante.

Giuseppe Mattioli

(continua)

 

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