di Niki Vendola

Morisi, regista della "Bestia" di Salvini, inciampa in una brutta storia di droga. E la realtà più amara irrompe nel recinto della propaganda Luca Morisi, il potente e luciferino regista della macchina della propaganda leghista, l’uomo-chiave del successo social di Matteo Salvini e della sua Bestia, è inciampato in una brutta storia di droga. Saranno ovviamente gli accertamenti della giustizia penale a dire se ha commesso reati. Morisi nei giorni scorsi si era dimesso da tutti gli incarichi nella Lega e oggi, nel momento in cui scoppia lo scandalo, chiede scusa a tutti per quella che ha definito una “caduta” causata da irrisolte fragilità esistenziali. Potremmo fermarci qua, alla nuda cronaca: sarebbe una vicenda come tante se non fosse per il calibro del protagonista.
 

Ma in questo caso non possiamo fermarci alla cronaca perché questa vicenda riguarda anche lui, il padrone della Bestia, Matteo Salvini, quella sorta di “ministro del Temporale” che ci ha educati ai riti di una giustizia feroce, sommaria, in diretta Facebook, senza difesa, senza appello, senza pietà, capace di trasformare un citofono in un tribunale “fai da te”, capace di irrogare pene estreme con quella invocazione quasi biblica: “sbattetelo in cella e buttate le chiavi”.
Dirà così anche questa volta? E come riuscirà a collocarlo nella sua narrazione criminologica? Qua non ci sono centri sociali, case occupate e neppure Ong.
Anche se dovesse in questo caso usare parole inusuali nel suo vocabolario, se dovesse usare prudenza in attesa degli esiti investigativi, non dovrebbe a maggior ragione dar conto di tutta la disumanità greve e molesta con cui in questi anni ha avvelenato la vita pubblica?
Da qui non si può sfuggire: quanto male hanno fatto le sue parole sparate come proiettili, quanti risentimenti e frustrazioni hanno solleticato nel basso ventre di un’Italia sofferente e spaventata?
Il politico-giustiziere è l’icona di una democrazia malata, con il suo magistero si fonda la giurisdizione dell’odio e il sentimento della giustizia muta in istigazione alla vendetta. E con la scelta dei target su cui si accanisce - innanzitutto migranti e profughi, e in generale coi ‘diversi’, diversi secondo la sua ontologia - rivela la sua natura: autoritaria, classista, xenofoba.
Quando interpreti il mondo secondo semplificazioni sguaiate capita sempre che la realtà, la più amara, irrompa nel recinto della propaganda. Piange il citofono.
 

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