Il mito delle Sirene
Maria Pellegrini
Le Sirene furono nominate per la prima volta da Omero, e la leggenda più nota che le riguarda è quella legata alle avventure di Odisseo. Tra le creature divine incontrate durante il suo viaggio per tornare in patria, dopo la fine della guerra di Troia, le Sirene sono quelle che hanno conosciuto la maggiore fortuna letteraria, e sono la più viva testimonianza della curiosità e inestinguibile sete di conoscenza di Odisseo. Omero non descrive il loro aspetto, sembrano esistere solo in virtù del loro canto prodigioso, di straordinaria dolcezza, “suono di miele” lo definisce Omero: impossibile sottrarsi alla tentazione di ascoltarlo, tanto più che esso promette di schiudere all’uomo nuove conoscenze. L’azione suscitata dal canto delle Sirene ammalia i marinai, annulla la loro volonntà, rendendoli dimentichi di tutto, della loro patria e dei loro affetti. Così scrive Omero: “A colui che ignaro si accosta e ascolta la voce /delle Sirene mai più la moglie e i figli bambini / gli sono vicini, felici che a casa è tornato, / ma le Sirene lo incantano col limpido canto”.
Nella ricostruzione del mito delle sirene, leggenda, storia e poesia si intrecciano con le origini della città di Napoli. La posizione particolarmente favorevole di questa antichissima città, situata al centro del Mediterraneo, in un punto di confluenza di rotte marittime e terrestri, caratterizzata da un clima mite e temperato e dalla fertilità delle terre circostanti, ha fatto sì che l’uomo fosse presente in questi luoghi fin dall’età della pietra. Il sottosuolo, ricco di cavità - Plinio il Vecchio nella sua “Storia Naturale” definì la Campania, una “terra piena di antri”-, offrì ricovero ai primi abitanti che i Greci chiamarono “Opici”, abitatori di grotte.
Prima della colonizzazione dei Greci (VIII sec. a.C.) erano approdati sulle coste del Mediterraneo occidentale popoli egeo-asiatici, fra i quali i Rodii, che secondo lo storico greco Strabone (I sec. a.C./ I sec. d.C.), nelle loro scorribande sui mari fondarono “un secolo prima che iniziassero i giochi olimpici, Marsiglia, numerose città sulle coste della Spagna, e, nella terra degli Opici, Partenope, così chiamata dal nome di una Sirena”.
Secondo una leggenda, ripresa dal poeta greco Apollonio Rodio nelle “Argonautiche”, Partenope era una delle tre creature marine, per metà donne e per metà uccelli (contrariamente all’iconografia posteriore, che le raffigura per metà donne e per metà pesce), che si uccisero gettandosi in mare poiché Ulisse aveva resistito al loro canto melodioso e ammaliatore. Trovata morta sul litorale ai piedi del promontorio dell’odierno Pizzofalcone (l’antico monte Echia) da naviganti approdati su quella costa, ebbe l’onore di un sepolcro, fu venerata come una dea e in sua memoria fu fondata una città che da lei prese il nome, Partenope. La leggenda riportata da Ovidio nelle Metamorfosi narra invece che le Sirene erano fanciulle al seguito di Persefone, figlia della dea Demetra. Quando Persefone fu rapita da Ade perché divenisse regina dell’Oltretomba, le compagne dopo averla cercata su tutta la terra ottennero dalla madre di lei di avere le ali per continuare le ricerche volando sul mare.
Il mito delle Sirene è da ricollegarsi alle prime esplorazioni dell’occidente mediterraneo in epoca preellenica da parte di navigatori egei, ma proprio nell’isola di Creta e di Rodi il mito sarebbe stato rielaborato e poi irradiato nel mondo ellenico con la raffigurazione delle sirene sotto l’aspetto di belle fanciulle provviste di larghe ali, come le troviamo nella monetazione della città di Neapolis, fondata nel 470 a.C. dalla colonia greca Cuma. È opportuno precisare che risale all’età medievale l’iconografia della sirena metà pesce e metà donna e che nella tarda antichità greca, e poi romana, esse furono rappresentate sotto l’immagine di uccelli con testa femminile, oppure di donna nella parte superiore del corpo e di uccello nella parte inferiore. Tra le varie interpretazioni del mito delle Sirene, vale la pena ricordare quella che le vuole legate a culti solari, descritta dall’archeologo Mario Napoli, in “Napoli greco-romana”:
“Ai marinai che nei lontani tempi giungevano da lontane terre con lunghi ed estenuanti viaggi, quando nell’ora pomeridiana scemava il vento, e la snervante calura rendeva più grave lo sforzo fisico e l’assolato silenzio del mare assopiva la mente e ubriacava l’animo, ecco che questa stanchezza snervante, questo silenzio, questa calura che si distendeva per il mare, questo senso di ubriacatura che invadeva lo spirito si trasformava lentamente in un canto sottile, lontano, svagato, pieno di malia e pieno di un nascosto mistero, ricco d’inconsci pericoli: e quel marinaio che vinto dalla sonnolenza e dalla stanchezza sarà scivolato tra le onde del mare, sarà stato nella fantasia dei compagni superstiti, rapito dal malioso canto delle Sirene”.
Questo intrecciarsi delle origini di Napoli al mito delle sirene, che come scrisse Omero “tutti gli uomini incantano”, non può che sottolineare il fascino del suo mare, la magica atmosfera delle sue coste.
Quando Cuma - città fondata nell’VIII secolo da coloni Eubei della Calcide, regione greca dell’Asia Minore - divenne dopo circa un secolo una fiorente città, importante tramite per gli scambi commerciali fra il mondo egeo-anatolico e il bacino occidentale del Mediterraneo, per rafforzare la propria egemonia sul golfo fondò sul promontorio di Pizzofalcone, alla base del quale - secondo la leggenda - era sepolta la Sirena, una città che si fuse con l’antica Partenope (forse più che una città era un semplice approdo) e ne mantenne il nome. Anche il poeta ellenistico Licofrone (metà del IV sec. a.C.) nella sua opera poetica “Alessandra” riporta il mito delle Sirene “morte con un balzo suicida dalla cima dello scoglio verso il mar Tirreno”, collocando la tomba di una di esse, Partenope, la “dea uccello”, alle foci del fiume Sebeto.
È sempre il geografo greco Strabone a darci testimonianza di un sepolcro contenente i resti della Sirena Partenope attestando che esso era visibile dal mare. Fonti letterarie confermano dunque che il mito era ancora vivo dopo molti secoli e testimoniano che la Sirena era onorata come una divinità. Ogni anno le fanciulle del luogo sacrificavano due buoi presso il suo sepolcro, mentre attraverso le vie della città adagiata sulla collina si svolgevano gare annuali di corsa: la palma del vincitore era riservata al primo arrivato con la fiaccola ancora accesa.
La Partenope cumana non ebbe un grande sviluppo urbanistico e non si estese oltre i confini del colle Pizzofalcone, proteso in quei tempi sul mare più profondamente di quanto lo sia oggi, ma divenne una stazione commerciale di una certa importanza. Sulle relazioni fra le due città non vi sono notizie sicure, poiché nessuno degli autori greci ne parla. Nella seconda metà del VI secolo a.C. decadde e si spopolò, tanto da far supporre che fosse stata distrutta.
La scomparsa di Partenope deve piuttosto essere collegata alle lotte che nella seconda metà del VI secolo videro scontrarsi i Cumani con gli Etruschi, desiderosi di avanzare dall’interno della regione campana verso il mare. Infatti, dopo la definitiva disfatta degli Etruschi (474 a.C.), per la quale fu determinante l’appoggio di Gerone, tiranno di Siracusa, i Cumani ricostruirono la città in una posizione più interna, ma più aperta e quindi più adatta agli scambi commerciali, spostata a oriente rispetto alla precedente. La chiamarono Neapolis, “città nuova” per distinguerla da Partenope, che da allora fu chiamata Palaepolis “città vecchia”.
Tornando al mito delle Sirene. A partire dall’Odissea omerica, che testimonia per prima la loro esistenza, le sirene sono oggetto di studio di eruditi, filologi e grammatici, che ne decifrano le peculiarità e interpretano i racconti su di esse. Creature dall’aspetto ibrido, frutto della sinergia tra l’elemento umano e quello ferino, esse inducono i marinai, con un canto suadente, ad arrestare la navigazione. Ma quell’invito nasconde la morte, e a loro insaputa toglie loro la gioia del ritorno.
La Sirena è evidentemente un archetipo muliebre primordiale, nato da quella visione che contrappone uomini e donne; in ogni letteratura soprattutto europea incarnazione di femmina che strega e seduce con la propria grazia e il dolce canto.
Nel Medioevo con Dante alla donna ammaliatrice ( “Io sono, dice, la sirena che allontana i naviganti dalla loro rotta, come feci con Ulisse. Chi si abitua a stare con me, di rado poi si allontana”, Purgatorio (canto XIX) si contrappone un’altra donna, quella dall’atteggiamento sollecito e virtuoso, per sopraffare quella fascinosa e sensuale che inganna con false illusioni.
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