L'Afghanistan rischia di diventare un nuovo campo di battaglia
di Un ponte per
Gli attentati di Kabul, con il loro terribile tributo di sangue innocente, dimostrano come si sia aperta una competizione per l’egemonia sull’Afghanistan tra vari gruppi collocati nella galassia dell’estremismo jihadista. Il fallimento della missione Nato appare in questo ancora più grave in quanto la ventennale occupazione militare ha contribuito a far crescere un sentimento di rivalsa che ha alimentato in quella società le componenti terroristiche e settarie.
Gli attentati hanno obiettivi precisi: spargere terrore tra la popolazione, colpire civili che cercano rifugio all’estero, dare un segnale chiaro alla comunità internazionale e agli stessi talebani che l’Afghanistan non potrà essere “normalizzato” facilmente.
Il crollo delle istituzioni repubblicane non può infatti essere riempito dalla semplice restaurazione di un “emirato islamico”, e tutto il Paese si prepara ad un lungo periodo di destabilizzazione.
Proprio per questo si accrescono i nostri timori, non solo per la reintroduzione delle leggi barbariche già in vigore durante il primo regime talebano e per le rappresaglie contro esponenti della società civile, con particolare durezza contro le donne.
La nostra preoccupazione maggiore è che ogni luogo frequentato da civili come mercati, scuole, ospedali, vie di comunicazione, mezzi di trasporto ecc., possa diventare il campo di battaglia di una nuova guerra.
Situazione tanto più insostenibile alla luce dei dati ONU, secondo i quali un/a afghano/a su tre non potrà avere accesso a cibo, acqua potabile e medicine se si chiuderà ermeticamente il Paese isolandolo. Per questo insistiamo per una pian generale di aiuti alla popolazione civile, al sostegno e al rafforzamento delle agenzie delle Nazioni Unite sul territorio e del lavoro delle Ong che hanno scelto, con coraggio, di rimanere.
Chiediamo che si facciano veri corridoi umanitari e che sia avviata una collaborazione basata sul rispetto dei diritti umani tra tutti i Paesi confinanti. Per fare ciò è necessario che la comunità internazionali eviti politiche di embargo e di sanzioni che - come ci ha dimostrato la storia anche recente - finiscono sempre per penalizzare la popolazione civile.
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