Che D’Alema cerchi mosche cocchiere per mettere in atto i suoi disegni politici, atti a soddisfare la sua sete di protagonismo, è un fatto noto da tempo. Con Grasso a capo di Leu, questa sua strategia ha raggiunto il punto più alto nella sua evidenza, gli elettori l’hanno capito e l’hanno bocciata. Ora ci riprova, il sagace baffino, se con Zingaretti o altri lo vedremo. Una cosa però è certa, il PD ha bisogno di tornare a discutere di politica a partire dalle sue istanze di base: i circoli. Un confronto che richiederà tempi lunghi, un percorso alla fine del quale, il partito a mio avviso, dovrà uscire con un nuovo profilo ben identificabile dall’opinione pubblica. 

Il PD è stata sì un operazione di fusione tra diversi pensieri politici e culturali progressisti, ma questo amalgamare a mio avviso, non è riuscito a fare chiarezza su un punto cruciale, quale modello di economia noi andiamo a proporre al Paese. Io ritengo che stia tutta qui la gran parte delle difficoltà del PD.

Da tempo vo meditando che le due culture, quella del cattolicesimo democratico e progressista e quella socialista, non possano più convivere in un unico contenitore, si autoescludono a vicenda. I due pensieri devono tornare ognuno nel proprio alveo, per elaborare e proporre in libertà. Solo così potranno di volta in volta convergere su battaglie politiche, su atti di governo unitario.

Lo chiarisco subito, io sono perché il partito assuma un chiaro profilo socialdemocratico. A distanza di un tempo oramai ragionevole, come la fine della seconda guerra mondiale, si possono trarre alcune considerazioni. Quelle esperienze infatti, sono state fino ad oggi, le sole ad aver garantito sviluppo, Diritti, benessere e qualità di vita, superiori a qualsiasi altra esperienza politica della civiltà umana.

Il dopo voto purtroppo, a me pare già privo di dibattito, nessuno ha chiesto scusa, nessuno che abbia minimamente accennato che sì, pur nella positività dell’agire governativo, a partire dalle tante leggi sui diritti civili e di cittadinanza approvate, da ultimo quella sul fine vita, purtuttavia molte cose importanti sono state tralasciate. Sul perché siano state tralasciate, bisognerebbe aprire una riflessione (forse non aver scelto a quale modello di economia ci si ispirasse, c’entra qualcosa), ma vedo che si tenta di chiudere su questo e concentrarsi solamente sul dare o meno l’appoggio per la formazione di una maggioranza in grado di dar vita ad un governo. Oltretutto questa scelta mi pare di capire, se la sono riservata i vertici del partito, mentre per scelte analoghe, la SPD ha aperto una discussione tra gli scritti, culminata con una votazione.

Qualcosa di analogo si potrebbe fare anche qui da noi. Se non altro, riacquisterebbe un senso e un valore, avere una tessera politica in tasca. In concreto, pronunciare solo NO a tutto, rifugiarsi nell’Aventino, non credo ci porti giovamento e soprattutto, non lo porta al Paese. Io ritengo utile invece, giocare la partita, ovviamente non si tratta di un limitarsi a dare un appoggio per formare una maggioranza. Sarebbe in questo caso sì, un suicidio. Al contrario il partito deve pretendere l’apertura di un confronto, alla luce del sole, dove tutti possano vedere quali sono le proposte programmatiche, al netto della campagna elettorale, di ciascuna forza politica.

Se alla fine si dovesse tornare alle urne, almeno avremmo degli argomenti da spendere. Il contrario sarebbe una scomparsa totale del partito, perché scatterebbe la corsa al voto utile, quindi Salvini o Di Maio. E il leader della Lega l’ha capita, proprio per questi motivi parrebbe intenzionato a tornare alle urne subito, “battere il ferro quando è caldo”, il suo motto. Infatti il leader della Lega ha bocciato subito il reddito di inclusione grillino, nuova forma dell'odiato assistenzialismo. Non vuole essere irretito nel dibattito interno al Centrodestra, con quella che lui deve considerare una vera e propria zavorra: Tajani o peggio ancora scenari di larghe intese, punta a fare il pieno tornando subito alle urne.

Renato Casaioli 

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