La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale Piero Bevilacqua
La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale Piero Bevilacqua
La guerra in Ucraina è uno di quei grandi fatti della storia, destinati col tempo a veder rovesciata la propria verità. Da subito essa è apparsa per quello che effettivamente era: l’invasione da parte della Russia di un paese sovrano, benché da secoli questo paese facesse parte del territorio russo, della sua cultura e della sua storia. Una iniziativa bellica apparsa quasi come la continuazione della nefasta tradizione dell’urss, che a suo tempo aveva invaso l’Ungheria, nel 1956, e la Cecoslovacchia nel 1968. Non c’è da stupirsi. È nota l’inerzia mentale con cui vasti ambiti di opinione pubblica occidentale vedono, erroneamente, nella Russia putiniana – una società a tutti gli effetti capitalistica – l’erede e quasi la continuazione dell’’Unione Sovietica. Tanto più che nel 2008, in seguito alla seconda guerra nell’Ossezia del Sud, la Georgia era stata annessa alla Federazione Russa, cosi come la Crimea nel 2014. Tutti episodi facilmente interpretati, da gran parte degli analisti occidentali, come la manifestazione delle ambizioni imperialiste di Putin, intenzionato a ridare alla Russia il dominio territoriale e la centralità geopolitica che era stata delle repubbliche socialiste. Che la grandissima maggioranza degli osservatori, i media grandi e piccoli, gli uomini di Stato, i partiti politici, quasi senza distinzioni di schieramento, la vasta platea dell’opinione pubblica dell’Occidente si siano schierati senza perplessità contro la Russia e in difesa dell’Ucraina, era la cosa più naturale che potesse accadere. Persino esponenti della sinistra più avanzata, sia italiana che europea, non hanno manifestato dubbi sulla natura imperialista della mossa di Putin, e hanno invocato l’appoggio armato in difesa del paese aggredito. E crediamo che l’eredità antistalinista di questa sinistra liberale o libertaria abbia reso ancora più salda tale scelta. Tanto più che la resistenza invocata era diretta contro un autocrate come Putin, a capo di una società autoritaria. Ora questo quadro semplice e apparentemente persuasivo dei nudi accadimenti si è progressivamente sgretolato, a mano a mano che si è passati dalla cronaca alla storia, dalla registrazione dei fatti presenti alla scoperta degli eventi e dei processi che li hanno preceduti. Non è stato facile, perché in questo caso è stato come passare dall’impressione dettata dall’osservazione visiva diretta del moto degli astri, a quella disvelata dalla scienza astronomica. In piccolo, quel che è avvenuto nell’età di Galileo. Per la prima forma di percezione, allora come oggi, il sole sembra girare intorno alla terra, per la seconda accade il contrario, e tale rovesciamento, com’è noto, ha costituito un approdo rivoluzionario alla verità effettiva. Anche per la guerra in Ucraina era inevitabile che accadesse. Fa parte di un meccanismo per così dire fondativo della cultura occidentale, ogni volta che ci si trova di fronte a un fenomeno nuovo da interpretare, a un presente complesso, volgere lo sguardo all’indietro, tentare di ricostruire nel tempo i processi che lo hanno preceduto e formato. Siamo obbligati a fare storia. Ed è sorprendentemente illuminante il fatto che nella lingua antica dei greci il termine indagare, conoscere, esplorare, venga espresso con historein, il ricercare di Erodoto e Tucidide. Conoscere in profondità si identifica con la storia, la ricostruzione del passato. Un grande storico della classe operaia inglese, Edward P. Thompson, ha definito la storia «la scienza del contesto», vale a dire il sapere che ricostruisce nel tempo, e nella loro concatenazione casuale, i nessi che legano fatti e processi e li rendono intellegibili. Senza il ricorso a questa scienza la visione del presente è non solo superficiale, ma spesso fallace ed ingiusta. Grazie ai tanti documenti, saggi, articoli, anche statunitensi, apparsi progressivamente dopo i primi mesi di guerra, abbiamo potuto guardare ai fatti drammatici che i media ci esponevano ogni giorno, con una crescente consapevolezza storica. La guerra in Ucraina iniziata ufficialmente il 24 febbraio 2022, è stata dunque retrodatata al 2014, quando un presidente filorusso democraticamente eletto, Viktor Janukovyč, è stato spodestato da un colpo di Stato, molto probabilmente ispirato e sostenuto dagli usa, seguito dall’insediamento di un governo ucraino antirusso. La risposta russa con l’annessione della Crimea, la secessione delle repubbliche del Donec’k e di Lugansk, dove la maggioritaria popolazione russofona veniva perseguitata, ha poi aperto la strada a una reazione tappa di un fallimento globale ucraina e all’esplosione di una vera e propria guerra civile. Fatti ormai noti, che tuttavia anch’essu costituiscono degli esiti. La ricerca storica ha poi costretto a spostare lo sguardo alle cause meno prossime della guerra, oltre l’Oceano, ai gruppi dirigenti degli usa. In realtà, com’è ormai noto, il coinvolgimento della Russia in una guerra dispendiosa e destabilizzante è il risultato di una strategia lungamente perseguita dagli usa. È bastato osservare la politica estera delle amministrazioni di Washington dopo il crollo dell’urss per avere un primo quadro di questa prospettiva rovesciata. Tradendo le promesse e gli accordi a suo tempo stipulati con Gorbacev i governi americani hanno esteso le basi Nato nell’Europa dell’ Est, collocandole in gran parte dei Paesi appartenuti al blocco comunista. Più esattamente hanno esteso la presenza dell’Allenza atlantica, con basi militari, per oltre 1600 km sino ai confini della Russia. Al tempo stesso si sono ritirati unilateralmente dal trattato dei missili antibalistici (Anti-Ballistic Missile Treaty) e hanno collocato sistemi di lancio in queste basi, dalle quali è possibile far partire missili da crociera come i Tomahawk dotati di testata nucleare. In tutti questi anni, con le truppe Nato, gli usa hanno ripetutamente svolto esercitazioni militari ai confini con la Russia, mentre aprivano una campagna propagandistica in cui si annunciava la prossima adesione dell’Ucraina all’ Alleanza. Vale a dire l’ingresso nello schieramento militare nemico di un Paese direttamente confinante, per secoli parte della Russia, perché l’accerchiamento delle basi militari fosse completo. Poiché le provocazioni e le minacce non erano sufficienti, gli usa si sono ritirati unilateralmente dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio, accrescendo la vulnerabilità russa a un primo attacco americano e hanno avviato, soprattutto a partire dal 2014, una politica di armamenti dell’esercito ucraino il cui governo era ormai dichiaratamente antirusso (B. Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Fazi 2023) Il fine di questa politica ce lo spiega, almeno in parte, un lungo rapporto del 24 aprile del 2019, pubblicato dalla Rand Corporation, un istituto di studi strategici nato nel 1948 e finanziato dalla Difesa usa. Il rapporto si intitola Overextending and unbalancing Russia: sovraccaricare e destabilizzare la Russia: Questo capitolo descrive sei possibili mosse degli Stati Uniti nell’attuale competizione geopolitica: fornire armi letali all’Ucraina, riprendere il sostegno ai ribelli siriani, promuovere un cambio di regime in Bielorussia, sfruttare le tensioni armene e azere, intensificare l’attenzione all’Asia centrale e isolare la Transnistria (un’enclave occupata dalla Russia all’interno della Moldavia). 01_HM41_bevilacqua.indd 7 25/06/24 09:51 8 Editoriale Intensificare la sfida alla presenza militare russa e alle operazioni all’estero potrebbe avere diverse conseguenze. Potrebbe indurre la Russia a ritirarsi da alcuni di questi impegni, il che potrebbe essere una vittoria importante per gli Stati Uniti. La Crimea, l’Ucraina orientale e la Siria sono un salasso per l’erario russo e per il bilancio della difesa. Tali mosse probabilmente imporrebbero serie tensioni aggiuntive alla difesa russa e alla sua capacità economica. (oggi consultabile in Rete) È evidente, dunque, per lo meno a chi analizza i fatti, e li dispone razionalmente nel tempo, che la guerra a cui assistiamo è un progetto strategico degli usa, i quali hanno voluto continuare la guerra fredda, già vinta, per assicurarsi il dominio unipolare del mondo, già conseguito nell’ultimo scorcio del Novecento. Del resto, questa volontà non è rivelabile solo nei documenti storici, nelle ripetute dichiarazioni dei massimi ispiratori della politica estera; essa è stata resa visibile dagli stessi comandi della Nato. In questo caso, come talora accade, la necessità della propaganda politica disvela i propositi lungamente nascosti dei gruppi dirigenti. Nella primavera del 2023, nella posizione dei governi occidentali e nella stampa che faceva loro eco, è apparsa evidente la determinazione degli usa e dei suoi fedeli alleati di “sconfiggere la Russia”, per poi poter sistemare la partita con la Cina. Del resto, un esperto di geopolitica come Lucio Caracciolo l’aveva già rivelato nel 2021, anche se aveva poi cercato goffamente di nasconderne la paternità, quando la sua previsione si stava realizzando (Liquidare la Russia e isolare la Cina, in «Azione», settimanale ticinese, 12 aprile 2021). Nessun mistero dunque – se non per una stampa spaventosamente asservita, come quella occidentale, in primissimo luogo italiana – che questa posizione bellicistica degli usa non era una conseguenza dell’aggressione russa, ma un vecchio progetto strategico lungamente pianificato: la disintegrazione della Federazione Russa come prosecuzione e copia del collasso dell’urss del 1991. D’altra parte, e qui ritorniamo alla storia, sappiamo, come ha dichiarato Dean Rusk, Segretario di Stato di J.F.Kennedy, che «l’intervento militare all’estero è una costante geopolitica degli Stati Uniti». Essa è stata tale sin dalla nascita degli usa, con o senza l’autorizzazione del Congresso, ed è diventata sistematica e totalitaria in tempi recenti. Come ricorda Fabio Mini, Dai rapporti del Congressional Research Service aggiornati nel 2009 e nel 2021, risultano effettuate oltre 100 operazioni militari dal 1945 al 1999 (54 anni). La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale e ben 184 dal 1999 al 2021 (22 anni). E questo senza contare le centinaia di operazioni coperte effettuate dalla CIA con personale e fondi non militari. (F. Mini, Prefazione a Q. Liang, L’arco dell’impero, Leg Edizioni, 2021, p. 22). D’altro canto, ben 800 basi militari americane sparse in ogni angolo del pianeta e la spesa in armamenti di 800 miliardi di dollari annui, già prima della guerra in Ucraina, avranno pure un qualche scopo. Ebbene, se la storia ci consente di avere uno sguardo rivelatore sul presente e di comprendere “come sono andate realmente le cose”, in questo caso ci offre la possibilità anche di avere una prospettiva cui indirizzare le nostre aspettative e le nostre speranze. Conoscere le origini di ciò che è accaduto ci fornisce la possibilità di un giudizio fondato, di orientarci tra le nebbie della manipolazione mediatica. Infatti, possiamo affermare, nella drammatica condizione di questi giorni, in cui uno dei più potenti eserciti del mondo, quello di Israele, bombarda la popolazione di Gaza ammassata in un lager di 400 km2 , che siamo di fronte a un passaggio storico di vasta portata. La guerra degli usa e della Nato contro la Russia è fallita. Sul piano militare la controffensiva ucraina è stata ricacciata indietro, con perdite umane pesantissime, a dispetto dell’aiuto militare fornito dall’intero Occidente. Essa non mostra possibilità di ripresa. La collocazione tattica sul campo dell’esercito russo non dà molte speranze a chi auspica un’inversione delle sorti del conflitto. La Russia ha resistito alle sanzioni e non solo non ha visto crollare le sue economie, ma conosce oggi una evidente ripresa economica, certificata anche dal Fondo Monetario Internazionale, che prevede una crescita del pil dell’1,5 % per il 2023. Sono piuttosto gli usa che vedono accresciuto il loro gigantesco debito pubblico e la voragine delle loro esposizione con l’estero:«alla fine del terzo trimestre del 2020 la posizione debitoria finanziaria netta degli usa verso l’estero (iip) ha raggiunto il record negativo di 13.950 miliardi di dollari» (F. Mini, Prefazione, cit. p. 26). E anche all’Europa non è andata molto bene. Secondo dati del «Financial Times» le imprese europee hanno avuto 100 miliardi di soli danni diretti dalla guerra (European companies suffer €100bn hit from Russia operations, F.T., 6/8/2023). Tra l’altro, le sanzioni e i sequestri di cui sono stati oggetto i tanti oligarchi russi formatisi nel decennio di capitalismo selvaggio inaugurato da Boris Elc’in, hanno indotto molti di loro a far rientrare i propri capitali nella madre patria e a impiegarli, grazie alle facilitazioni del governo, in attività direttamente produttive. L’intensificazione dei rapporti economici con la Cina e con gli altri Paesi non occidentali, spaventati dall’aggressività, ha accelerato il processo di formazione di un blocco geopolitico contrapposto, quello dei brics, destinato ad allargarsi ad altri Stati e a fondare un ordine multipolare che pone fine al “secolo americano”. Né si è verificato i regime change a Mosca, auspicato dagli usa, vale a dire il cambio di governo da autocratico a democratico, che è la narrazione ideologica con cui gli usa, negli ultimi decenni, hanno giustificato le loro guerre di aggressione e di invasione di Paesi sovrani. Putin non è stato rovesciato, anzi si è ulteriormente rafforzato. Gli strateghi usa e Nato non hanno previsto la reazione del popolo russo nel passaggio da un’accusa di aggressione contro un paese “fratello” a una minaccia di invasione e occupazione da parte di un esercito straniero. L’esortazione alla “vittoria” contro Mosca, sempre più interpretata come una capitolazione bellica dell’intero Paese, di cui si facevano cantori anche i dirigenti dell’Unione Europea, come Ursula Von der Leyen – apparsa in alcuni momenti come una funzionaria del governo usa – ha investito profondamente l’opinione pubblica russa. Più precisamente ha toccato le corde profonde dell’animo di un popolo, che nell’età contemporanea aveva subito l’invasione delle armate napoleoniche e i carri armati di Hitler. Dunque, è vero che gli usa hanno ottenuto dei successi evidenti dalla guerra in Ucraina. Hanno allargato ulteriormente i confini della Nato, hanno spezzato i rapporti tra l’Europa, soprattutto la Germania, e la Russia, hanno mostrato al mondo la pochezza, la viltà e il servilismo delle élites dirigenti europee, esibito la propria capacità di comandarli come pedine subalterne. E tuttavia a quasi due anni dall’inizio della guerra lo scenario appare più complesso. Nel momento in cui si consuma il dramma del popolo palestinese, nei giorni in cui l’esercito di Israele bombarda la popolazione di Gaza dal cielo, da terra e dal mare, questo vero e proprio genocidio non potrà non apparire sempre di più come l’esito della strategia americana. Sono state le decine e decine di veti opposti dagli usa alle risoluzioni onu, in cui si condannava Israele, ad aver incoraggiato i suoi gruppi dirigenti a una politica di violazione sistematica del diritto internazionale. Senza contare l’ininterrotto supporto economico e militare. Sono stati i governi americani ad autorizzare l’imprigionamento a cielo aperto di un intero popolo entro i confini di Gaza: un esperimento di lager unico forse per dimensioni nella storia del mondo. Oggi sono gli usa a condividere con Israele la responsabilità del massacro della popolazione civile palestinese, l’uccisione di migliaia di bambini, sia dal punto di vista politico e morale, ma anche militare. Le due portaerei americane schierate nel Mediterraneo orientale, che fungono da deterrenza contro possibili azioni ostili nei confronti di Israele, sono di fatto a protezione dell’opera di genocidio che Netanyahu può consumare indisturbato nel recinto di Gaza. Per gli usa e l’intero Occidente a questo punto si pone un grande problema: come raccontare la storia di una serie troppo lunga di fallimenti, costata un numero incalcolabile di morti, ingenti perdite economiche, e il disordine politico e militare che domina il nostro tempo. La guerra in Iraq non ha portato la democrazia in quel Paese, ma il terrorismo endemico; la Libia, dopo l’uccisione di Gheddafi, è stata ricacciata ai suoi originari conflitti tribali; l’Afganistan è ritornato ai Talebani; l’Ucraina è semidistrutta, centinaia di migliaia di ucraini sono morti per niente; Gaza muore sotto le bombe e la sicurezza di Israele è stata drammaticamente messa in discussione. Il discredito di chi ha ispirato e condotto tale politica sarà incancellabile presso l’opinione pubblica mondiale. Il tempo svolgerà il suo compito. Questa volta la storia degli sconfitti non si potrà scrivere col silenzio, com’è accaduto per l’Iraq, la Libia e altri Paesi. Ancora oggi i grandi strateghi usa sottovalutano gravemente il danno che verrà all’America dal massacro del popolo palestinese. Esso darà un sigillo incancellabile d’orrore alla catastrofica fallacia della sua politica, all’arroganza di un Impero che cerca di resistere con la violenza al proprio inesorabile tramonto.
Recent comments
11 years 39 weeks ago
11 years 39 weeks ago
11 years 41 weeks ago
11 years 41 weeks ago