di 

Luca Celada

I golpe non sono più quelli di una volta.
A Brasilia come a Washington non sono serviti carri armati per fare prove di eversione. Le folle forconiste si sono aggregate sull’internet dei complotti ma sono state anche telecomandate da chi ha capito come manovrare la “disinformazione partecipativa” che alimenta il metaverso reazionario online, dove ribolle un calderone di insofferenza e rancore costantemente attizzato. Per i fatidici assalti di gennaio non è stato necessario far cadere il governo; la rappresentazione dell’insurrezione è una minaccia in stile mafioso che basta ad insinuare ingovernabilità.
Dove la neodestra le elezioni le vince, la stessa aggressività la esprimono i governi, fomentando l’ardore della base con culture wars permanenti. A questa categoria appartengono le taglie elargite dal Texas per la delazione di donne che abortiscono, l’assegnazione di porti lontani in Italia, la proscrizione di insegnamenti anti-patriottici in Florida e l’abrogazione di fatto del diritto di asilo in gran parte del mondo “sviluppato.” Cruelty is the point - così si aggrga il consenso post-democratico, con politiche cruente elargite come premi alla base celodurista che reclama rivalsa e vendetta - la fine della pacchia.
È governance come aggressione, il modello sperimentato appieno dal governo Trump. In USA, dove più marcato è il carattere suprematista della reazione populista, la presa del potere è stata agevolata anche dai meccanismi di una democrazia intermediata che travisano la rappresentazione popolare. L’elezione territoriale per il Senato, ad esempio, dove il 49% della popolazione distribuita in stati rurali esprime 82 senatori contro i 18 spettanti al 51% residente nei nove stati più popolosi.
Condizioni ideali per l’involuzione antidemocratica che alla Camera ha mandato un folto contingente di guastatori terrapiattisti – il partito del golpe permanente. Il gruppo parlamentare di filo-insurrezionalisti dei MAGA, pur minoritario, detta attualmente la linea politica del partito ex conservatore, compimento di una radicalizzazione iniziata con Reagan e progressivamente fanatizzata in successive ondate estremiste sempre più dogmatiche, sempre più anti-moderne e teocratiche, sempre più familiari con il “minority rule.”
I contorni dell’internazionale populista sono ormai emersi, disegnati da Bannon e Dugin e dai loro sodali spuntati come funghi nel mondo. In USA il “movimento” si avvale di una vasta base integralista religiosa e della Corte suprema blindata per veicolare la regressione: l’abolizione degli statuti protezione del voto promulgati da Martin Luther King e del diritto di aborto – entrambi contro la volontà di una chiara maggioranza popolare - sono solo l’inizio.
E se mancassero i voti e i sistemi, c’è pur sempre la sommossa. I “sollevamenti popolari” intanto sono depistaggi di massa, diversivi performativi - liturgie con sciamano optional, strumentali alla narrazione fuorviante che ha sostituito la dialettica politica con un horror popolato di immigrati magna a sbafo, subdoli missionari gender e untori laureati. Nella testa dei destinatari di questa fiction il golpe è già avvenuto – e la guerra civile è già cominciata.

Fonte: facebook.com/lou.cacilata

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