di Francesco Tanzarella – Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

 A stare alle reazioni di protesta suscitate dal DDL Calderoli sulle autonomie regionali differenziate, sembrerebbe che all’improvviso quasi nessuno ad eccezione della Lega, più le voglia. Sarebbe davvero un fatto tanto positivo quanto paradossale, visto che le tre forze di destra si sono unite tra di loro proprio su un programma politico che fissava quel tema tra i suoi obiettivi fondamentali, e che tra le opposizioni, in molti, a cominciare dalla parte di PD seguace di Bonaccini, hanno visto in passato le autonomie regionali differenziate in modo tutt’altro che disdicevole. Si tratta dunque di un reale cambio di passo?

   Intanto bisogna ricordare che le misure messe in atto da Calderoli sono costituite da due diverse iniziative. La prima è contenuta nell’art. 143 della legge finanziaria che istituisce una cabina di regia composta da tre Ministri tra i quali lo stesso Calderoli, che avvalendosi di agenzie private dovrà entro 12 mesi determinare i LEP (Livelli Essenziali di Prestazioni). Qualora la cabina non completi i lavori entro i tempi previsti, il Presidente del Consiglio nominerà un commissario a questo scopo. Un percorso che quindi vuole estromettere il Parlamento dalla determinazione dei LEP, contraddicendo l’art.117 comma 2 lettera m della Costituzione che ne affida la determinazione allo Stato e non certo al Governo, e tantomeno a un soggetto tecnico come un Commissario. In realtà la determinazione dei LEP, che come dice la Costituzione rappresentano “….i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” implica un’impegnativa azione di monitoraggio e di responsabilità politica a cui non può non concorrere la rappresentanza politica intera del paese. Peraltro diversi studi convergono nel pensare che il solo intervento per colmare il divario delle prestazioni pubbliche che esiste tra il nord e il mezzogiorno del paese, avrebbe un costo compreso tra gli 80 e i 100 miliardi. Altro che 12 mesi. Tuttavia Calderoli offre la determinazione dei LEP come la garanzia che le intese con le Regioni non spaccheranno il paese, ponendo la stessa determinazione come condizione indispensabile alla stipula delle intese, condizione ripetuta all’interno del DDL in attesa di discussione al Consiglio dei Ministri. Ma è il punto che riguarda la traduzione dei LEP in spesa pubblica che rimane senza risposta, disponendo che le intese avvengano ad invarianza di spesa ed assumendo come riferimento la spesa storica. E’il punto che trova le più ampie contestazioni persino all’interno della stessa coalizione governativa e che potrebbe andare incontro a qualche correttivo in corso d’opera.

   Ma anche un correttivo al problema dei costi e fabbisogni standard, magari agendo sul fondo perequativo, non potrebbe porre rimedio alla disgregazione dello Stato sociale che le intese regionali potrebbero innescare. Il loro contrasto coi principi fondamentali della Costituzione risale alle modifiche apportate al suo titolo V nel 2001, quando nell’art.116 fu inserito un terzo comma per concedere  alle Regioni che ne facciano richiesta “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” , cioè maggiore possibilità di approvare Leggi nelle 23 materie di legislazione concorrente tra Stato e Regione, elencate nel terzo comma dell’art.117, nonché in 3 delle materie di competenza esclusiva dello Stato (giudice di pace, istruzione (norme generali), tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali)   elencate nel secondo comma dello stesso articolo. Un capovolgimento vero e proprio rispetto alla Costituzione del ’48 che elencava invece  le materie in cui le Regioni potevano emanare Leggi, peraltro a condizione che non interferissero con quelle statali.  Per concedere queste ulteriori forme di autonomia, lo Stato dovrebbe stipulare con le Regioni delle “intese” che costituiscono forme legislative “rinforzate”, cioè non emendabili dal Parlamento e non sottoponibili a referendum, né modificabili senza il consenso delle medesime Regioni. Una procedura del tutto corporativa mentre la possibilità che le singole Regioni verrebbero ad acquisire di legiferare e di trattenere risorse erariali nazionali su materie di interesse generale come la salute, i trasporti, l’istruzione, le energie, l’ambiente, non può che riguardare tutti i cittadini del paese.

    Per impedire che avvenga questa frammentazione dello Stato sociale che aggreverebbe ancora di più lo svantaggio di prestazioni e servizi pubblici delle Regioni meno ricche del paese come quelle del Mezzogiorno, nel quale da diversi anni l’Umbria è entrata a pieno titolo, bisogna quindi intervenire alle radici stesse di questo processo di disuguaglianza.

   Per questo il COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE ha aperto una campagna di raccolta di firme (ne servono 50mila) per presentare in Parlamento una Proposta di Iniziativa Popolare per modificare il Titolo V della Costituzione. A cominciare dal terzo comma dell’art.116 togliendo la forma “rinforzata” alle intese, per renderle emendabili nel dibattito parlamentare e sottoponibili a referendum preventivo prima della loro approvazione definitiva, e abrogativa, dopo la loro approvazione, come qualsiasi altra legge. Togliendo la possibilità di chiedere ulteriore autonomia nelle tre materie di competenza esclusiva dello Stato (giudice di pace, istruzione (norme generali), tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali).  Ripristinando nel primo comma dell’art.117 una clausola di supremazia nazionale qualora i contenuti delle intese mettessero a rischio l’integrità giuridica e economica del paese. Sostituendo i LEP in LUP, in livelli uniformi di prestazioni per tutti e non solo dei  livelli minimi che non escludono ma anzi giustificano ingiusti squilibri. Infine riportando nella potestà legislativa esclusiva dello Stato le seguenti materie: tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; professioni; ricerca scientifica e tecnologica; tutela della salute; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

  La battaglia contro le autonomie regionali differenziate è dunque una battaglia fondamentale per respingere l’attacco contro lo Stato sociale e contro il cuore della Costituzione italiana che con l’articolo 3 afferma l’universalità dei diritti sociali della persona umana “….senza distinzione di sesso , di razza, di lingua , di religione , di opinioni politiche,  di condizioni personali e sociali…”, e dunque meno che mai di residenza territoriale.

     Per questo lanciamo un appello a firmare, anche online, la proposta di Legge , sul sito della nostra associazione https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=CDC

Francesco Tanzarella – Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

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