Stiamo entrando nella fase calda della manovra di bilancio e il Governo sta sperimentando che è ben più comodo sbattere i pugni dai banchi dell’opposizione senza offrire soluzioni, piuttosto che vedere sbattere le proprie promesse irrealizzabili contro il muro della realtà.

In appena un mese sono caduti sul campo tanti dei mirabolanti impegni presi dal centrodestra con i cittadini - dalla flat tax, al “blocco navale” fino al piano straordinario per il carobollette e il caroprezzi. In un crescente clima di difficoltà e spaccature nella maggioranza si è tentato di distrarre l’attenzione con scelte di segno reazionario: questo spiega il pasticcio della norma sui rave, il braccio di ferro mediatico con la Francia.

Ma quel che più preoccupa è che di fronte a questa crisi il Governo Meloni offre una lettura distorta. Dimostra di avere letto la nostra Costituzione al contrario: regala un biglietto in prima classe a evasori e corrotti che vogliono girare con mazzette di contanti, mentre lascia al proprio destino chi è in grande difficoltà economica e sociale.

L’ossessione di Giorgia Meloni è smantellare il Reddito di cittadinanza. I giornali hanno anticipato che l’esecutivo sta lavorando per tagliare questo sostegno vitale ai cosiddetti “occupabili”. Una formula dietro la quale la destra prova a dipingere un universo sociale composto da giovani scansafatiche, che fanno di tutto per evitare di lavorare e restare sul divano a incassare l’assegno. Ma soffiamo via la polvere della propaganda e analizziamo, con lucidità scientifica, questo fenomeno. Gli occupabili sono 660 mila persone con storie ben complesse. Tra loro ci sono 200 mila persone che il “divano” non lo hanno mai visto, perché lavorano ma devono chiedere il Reddito di cittadinanza per integrare stipendi da fame. Un mondo di donne e uomini che hanno lavori precari e sottopagati. Sono persone che lavorano in settori dove, in assenza di un salario minimo - che la Meloni considera uno “specchietto per le allodole” - si tira avanti con stipendi da 4 o 5 euro l’ora. Per tutte queste persone il Reddito di cittadinanza è una questione vitale e segna la differenza tra fare la spesa o no.

Anche tra chi non lavora, ma rimane teoricamente “occupabile”, ci sono casi disperati: persone che pur non essendo invalide e non rientrando nelle rigide tabelle di riferimento per ricevere una pensione di invalidità dall’Inps, hanno però problemi psico-fisici e per questo rimangono ai margini del mercato del lavoro. Molti degli occupabili fanno parte di nuclei familiari con minori e bambini, che per legge non possono fare domanda di Reddito di cittadinanza, con la conseguenza che la perdita del beneficio per l’adulto significherebbe la perdita del sostegno anche per il minore. Altri occupabili sono poi inseriti in nuclei familiari con persone anziane o con disabilità, per le quali - nel migliore dei casi - l’uscita dal programma di aiuto vorrebbe dire comunque una riduzione del beneficio per il nucleo. E ancora: il 70,8% degli “occupabili” ha come titolo di studio al massimo la terza media; 53mila sono over 60 e 135mila hanno fra i 50 e i 59 anni. Soggetti che, come è noto, partono già da una condizione di evidente svantaggio che li porta ad incontrare notevoli difficoltà nel rientrare nel mondo del lavoro.

Il Reddito di cittadinanza non è stato pensato come strumento per favorire un mero assistenzialismo. È stato pensato per promuovere una stagione di libertà e dignità del lavoro, come impone la nostra Costituzione. Aggredire oggi gli “occupabili”, trattandoli come agnelli sacrificali, significa non comprendere che sono proprio loro le persone che invece dovremmo aiutare. Alcuni hanno parlato, durante la campagna elettorale, di “voto di scambio”. In realtà, è proprio il contrario. Con il Reddito di cittadinanza abbiamo reso i cittadini più liberi dal ricatto del lavoro nero e sottopagato e della manovalanza su cui prosperano le organizzazioni criminali. Certo, è possibile riformare il Reddito di cittadinanza, rendendolo più compatibile con il reddito da lavoro, diminuendo il livello di tassazione marginale ai percettori che accettano un lavoro, almeno per un periodo iniziale. È questo che mi aspetto da un Governo che vuole puntare sulla riattivazione di persone occupabili. Avevamo in questo senso invitato la Presidente Meloni a contattare subito i Governatori delle Regioni – i due terzi dei quali sono di centrodestra – per sollecitare le assunzioni nei centri per l’impiego con i fondi stanziati dal mio Governo già tre anni fa.

Il 2023, secondo le previsioni, sarà un anno di stagnazione economica, con un Pil dato allo 0,6%. La crescita della domanda di lavoro sarà nulla, l’inflazione sopra l’8% colpirà soprattutto i redditi più bassi. Nell’ultimo triennio il Reddito di cittadinanza ha sostenuto i consumi e favorito la ripresa economica. Gli 8 miliardi stanziati per il reddito sono andati ai due decimi della popolazione più poveri (fatto unico nella storia economica del Paese) e con una propensione al consumo pari al 100%. Il dovere di una società civile è accompagnare al lavoro attraverso percorsi di inclusione più forti, con incentivi alle aziende per assumere. Siamo disponibili a lavorare insieme al Governo in quest’ultima direzione, perché la buona politica non conosce steccati ideologici. 

Se invece il Governo volesse far ripiombare il Paese nel passato, siamo pronti a mobilitare il M5S assieme alle forze sociali, politiche, civiche che vogliono sposare la nostra battaglia non solo nelle sedi istituzionali, ma anche in ogni piazza e angolo del nostro Paese.

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