Immaginate un ragazzo od una ragazza di terza o di seconda media, di primo o di secondo liceo, in fila al distretto o al Sert ad attendere, accompagnato da insegnanti e/o genitori, il proprio turno per fare un test di verifica per l’assunzione o meno di sostanze stupefacenti e provatevi ad immaginare lo stato d’animo con il quale essi affronterebbero questa prova.

Se anche non sapessero nulla di droghe se non dai telegiornali e dai richiami di genitori ed insegnanti, verrebbero catapultati precocemente e senza un comprensibile motivo in un mondo che ben prima di educarli li scheda e ne presume una “colpa”.

In un contesto che continua a considerare il consumo di droghe un reato, la proposta della Monacelli, oltre ad essere priva di un elementare buon senso, è doppiamente pericolosa perché stravolge e sovverte ogni elementare principio di civiltà giuridica democratica che dovrebbe essere noto anche dopo un paio d’ore di lezione di diritto ed è tanto più grave perché la misura viene indirizzata ai minori che non hanno la capacità e la facoltà di scegliere. Se infatti su un ragazzo o su una ragazza, addirittura nei primi anni della scuola media, non vi è il minimo sospetto di frequentazioni poco raccomandabili o di comportamenti a rischio, se la sua vita, in un delicato momento di crescita e di formazione, risulta normale, egli ha il sacrosanto diritto di veder creduta la sua parola. Questo è quello che succede nei paesi normali dove il principio di presunzione d’innocenza è uno dei pilastri fondamentali del vivere civile. Se passa il concetto che è nell’obiettivo della mozione della Monacelli ci si ritrova in un attimo dalla presunzione d’innocenza a quella di colpevolezza. Un regime dove al posto di un’occhiuta Stasi ci sono gli umori del popolo. Un regime dove ogni cittadino, a partire dai più giovani, è considerato un potenziale criminale per lo stigma che si vuole imporre sul consumo di droghe o quanto meno un potenziale “malato”, sul quale pesa l’onere della prova contraria. Possibile che la politica sia così appecoronata agli umori dei tanti Savonarola che si aggirano da non vedere cose così semplici e che saltano in maniera immediata agli occhi?

La proposta del consigliere regionale dell’UDC, per quanto presumibilmente nasca da una preoccupazione autentica sulla larga diffusione tra i giovani dell’uso di sostanze stupefacenti, è perfettamente in linea con le politiche e le normative prevalenti in materia di droghe che si sono affermate in Italia nell’ultimo decennio e che hanno fallito, a ben guardare e valutare i loro esiti.

E’ la fabbrica della paura e della doppia morale che torna con il suo gigantesco armamentario di strumenti solo repressivi, da una parte, e con l’abbattimento di quei servizi di prevenzione e di riduzione del danno, proprio quelli fondati sulla corresponsabilità delle istituzioni, della scuola, della società e delle famiglie, dall’altra.

Non è qui in ballo l’antica diatriba tra proibizionismo e permissivismo, ma non si può non constatare che le politiche di sola repressione del consumo così come portate avanti dal governo italiano e dal centro destra in questi anni in Italia hanno miseramente fallito (ogni statistica, comprese quelle portate ad esempio dalla Monacelli, ne è testimonianza) e non ci pare minimamente sufficiente dire che le droghe, tutte e senza distinzioni, fanno male al corpo ed alla mente come fanno la Monacelli o Giovanardi o la Meloni.
Crediamo infatti che chi fa uso di droghe lo sappia già, ma pare che non gliene freghi un fico secco. La questione è delicatissima e presenta mille sfaccettature, per questo va maneggiata con cura, soprattutto quando si ha a che fare con gli adolescenti durante il periodo della loro crescita e della loro formazione umana, culturale e sociale.

Sono temi che per essere affrontati con la necessaria conoscenza e con un po’ di saggia flessibilità hanno bisogno di ogni approfondimento sociale, culturale e scientifico e di ogni continua attenzione, fuori dall’insorgenza mediatica e dall’emergenza contingente, e senza le sparate demagogiche che piacciono tanto alle Monacelli di ogni latitudine politica.

Il messaggio della consigliera regionale è agghiacciante e sottolinea come le classi dirigenti di questo Paese continuino a privilegiare gli spot da Stato etico ed una politica di rappresentazione mediatica inconcludente piuttosto che l’impegno per una seria politica di contrasto al dilagare di un fenomeno che è figlio della società moderna, quella della crescita impetuosa, della velocità che vuole perduto chiunque si fermi, delle relazioni sociali ad impatto zero, della voracità onnivora ed irrazionale del consumismo.

Sandra Monacelli invoca i test antidroga per tutte gli studenti di scuola media e superiore e la proposta, naturalmente, raggiunge il suo scopo: quello di rimbalzare sui media come una proposta shock, ad irresponsabile soddisfazione dei soliti benpensanti. Irresponsabile, perché quando si tratta di figli, ci hanno insegnato che è meglio non fare mai le beffe ad altri, soprattutto nel mondo di oggi dove anche le migliori attenzioni delle migliori famiglie non mettono al riparo da lusinghe, devianze, sollecitazioni sbagliate. La consigliera regionale si dimentica però di specificare a che cosa debba servire il test e, soprattutto, una volta eventualmente compiuto, quale utilizzo se ne farà e quale risposta, educativa, sociale, di cura, riabilitativa, si metterà in campo, qualora esso risulti positivo.

Se a quattordici anni un ragazzo verrà trovato positivo perché ha fatto uso di qualche spinello, ma di esso non si potrà mai dire di essere soggetto ad una dipendenza, quale sarà la sua sorte dopo il test? Quale saranno le conseguenze in famiglia, nella scuola, nelle sue relazioni sociali? Non osiamo immaginare ad una risposta in un contesto che non riesce a frenare il dilagare del fenomeno delle dipendenze nonostante o forse perché si faccia di tutto, a parole, per dire che la droga fa male e perciò il suo consumo va punito, essenzialmente o solamente punito.

Crediamo che il destino di quel ragazzo ne uscirà segnato per tutta la vita, come uno stigma indelebile, come una colpa, una macchia, che ne turberà i sonni e ne angustierà le relazioni con i propri genitori ed i suoi pari, probabilmente per sempre.

Sandra Monacelli fa passare per prevenzione una misura che con la prevenzione non c’entra nulla ma serve solo a spettacolarizzare un fenomeno che, nonostante il messaggio, continua a dilagare, per quanto l’assunzione di droghe venga considerata un reato od una colpa grave.

La proposta dell’UDC sta tutta dentro questa tendenza prevalente nella politica delle destre italiane ed il risultato è che gli stessi servizi di prevenzione, informazione, cura, riabilitazione e di riduzione del danno, la stessa corresponsabilità sociale che dovrebbe animare gli stessi e potrebbe renderli più concretamente efficaci, sono ridotti al lumicino, completamente inadeguati alla portata del problema, anche nella nostra Regione, anche nel nostro territorio.

La politica ha preferito finanziare lautamente le comunità dorate e profittevoli dei Don Gelmini piuttosto che far vivere i servizi educativi, sociosanitari, di sostegno alla genitorialità che sono stati fatti marcire nell’indifferenza di tutti. Al punto che se la proposta della Monacelli dovesse trovare conferma nelle volontà del legislatore regionale per un qualche capriccio della ragione, essa sarebbe difficilmente concretizzabile ad oggi: in ambito medico-legale, gli strumenti per la diagnosi rapida non possono essere utilizzati nei Sert, che non dispongono di biologi, mentre i medici non sono abilitati a certificare i risultati. Per non parlare delle difficoltà che si incontrerebbero nel ripetere periodicamente il test, cosa necessaria se si vuole restare anche agli obiettivi della Monacelli e fare, secondo i suoi stessi criteri, una roba decente, per quanto assurda. Questa proposta, sul piano della concretezza e senza esprimere un giudizio di merito e di valore, non meriterebbe pertanto neanche una replica: la replica si rende doverosa solo per contrapporsi ad una regressione culturale, politica, giuridica e sociale che la proposta sottende e per rimettere in fila alcune delle problematiche che il fenomeno droga porta con sé senza suonare alcuna partitura ideologica ma affrontandole con un più efficace senso pratico.

I tanti soldi che servirebbero per fare uno screening di massa di questa natura potrebbero ben altrimenti servire a sostenere i servizi pubblici di prevenzione e di riabilitazione, a partire dai Sert, che non si sarebbero mai dovuti considerare come i terminali ultimi di sola cura per le dipendenze o come meri somministratori di metadone o di ansiolitici, ma attivi servizi di promozione della salute psico-fisica e sociale, diffusi sul territorio, con risorse organizzative, professionali, scientifiche stabili ed appropriate.

Durante una recente puntata di Porta a Porta, il ministro Meloni, accompagnata da Giovanardi, ripeteva che le politiche di riduzione del danno, per esempio, non servivano a niente ed anzi accentuavano la fenomenologia delle dipendenze. Prendeva ad esempio una ragazza cui era stata trapiantato il fegato per l’uso di lisergici ed anfetaminici nonostante, andando per le discoteche, le si fossero somministrati breviari divulgativi per limitare il danno fisico da assunzione e da abuso.

La Meloni lasciava quasi intendere che quelle informazioni sarebbero state quasi un incitamento per la prosecuzione della dipendenza o, nel migliore dei casi, non erano servite a nulla.

Alla riduzione del danno, che resta una, solo una delle politiche possibili e necessarie, la Meloni tornava a contrapporre il messaggio che la droga fa male, senza se e senza ma, al pari della Monacelli. E’ vero che la droga fa male ma ad un eroinomane in procinto di farsi una pera o ad un cocainomane nell’atto di farsi una sniffata che cosa gliene può fregare mai di questo messaggio? E’ per questo che gli interventi di informazione e di riduzione del danno sono serviti quantomeno a non aggiungere altre conseguenze, comprese le patologie gravi correlate all’assunzione di queste sostanze, compresa la morte. Basta pensare che se non ci fossero stati questi interventi, gli eroinomani avrebbero continuato ad utilizzare le stesse siringhe o i cocainomani ad utilizzare le stesse banconote usate: comportamenti che, come è noto, sono stati tra le cause principali di diffusione del virus Hiv o del contagio di forme virulente di epatite. Non sarebbe certo bastato il messaggio della Meloni e della Monacelli della droga che fa male.

Sappiamo anche che per le politiche oggi prevalenti in Italia in materia di droghe, le carceri italiane stanno scoppiando ed in alcune di esse ci sono percentuali di presenza di tossicodipendenti impressionanti: in taluni caso oltre il 50%, per reati comunque correlati al consumo e all’approvvigionamento di droghe.
Per la stragrande maggioranza di questi, a partire dai più giovani, il carcere avrà delle conseguenze drammatiche ed irreversibili. I dati confermano che chi esce dal carcere non avrà scampo. Ben lungi dall’essere rieducati, curati, riabilitati, molti di questi giovani sono condannati per la vita. Immaginiamo il ventenne destinatario di una misura cautelare per lo spaccio di sostanze legato al consumo: dal carcere ne uscirà con più conoscenze condivise per proseguire anche meglio la “professione” di spacciatore e senza alcuna prospettiva di poter contare su dei servizi che ne sostengano i percorsi di cura, riabilitazione, reinserimento sociale per liberarsi della sua condizione di tossicodipendente. Molti di loro tornano a fare nè più nè meno quello che facevano prima di entrarvi. Soprattutto nel caso di chi, tra loro, è più esposto e più debole o non può contare su una famiglia e delle relazioni sociali solide.

Anche il totem che vuole fare dello spinello una droga di passaggio verso le altre, più pesanti e pericolose, deve essere sfatato se si vuole affrontare realmente questa problematica con la necessaria cautela scientifica ed una determinazione politica reale, non etica od ideologica. Non vi è infatti alcuna correlazione scientifica consequenziale tra l’uso di cannabinoidi e l’uso di sostanze come l’eroina o la cocaina. Vi è semmai un rischio sociale che si eleva qualora si ha una continuità ed una promiscuità nelle stesse frequentazioni degli ambienti più a rischio e nel ricorso ai medesimi canali di spaccio, qualora, cioè, i giri che si frequentano ad un dato momento per acquistare hascisc o “erba” sono gli stessi in cui è larga la diffusione e la disponibilità delle altre sostanze e dove ad un certo punto gli spacciatori mettono in campo delle vere e proprie strategie sopraffine di marketing per differenziare ed aumentare il consumo.

E’ un rischio che si amplifica nell’attuale contesto proibizionista che non fa differenze né nella commisurazione dell’eventuale pena da somministrare al consumatore, né tanto meno nella percezione e nel giudizio etico-sociale dei fenomeni. Va da sé che almeno questo circolo vizioso potrebbe benissimo essere spezzato se si operano scelte politiche coraggiose e sicuramente più serie sul piano scientifico: a partire dalla legalizzazione di hascisc e marijuana.

In una società come la nostra dove oramai siamo sempre più avvezzi a consumare di tutto, la droga fa parte del paniere dei beni di consumo che va per la maggiore, produce alienazione e drammi personali, familiari e sociali. E, soprattutto, fa morire, corpo e mente, più o meno lentamente.

Il nostro è un Paese allo stremo anche sul versante del dilagare del fenomeno delle dipendenze che continua a mietere vittime morali e morti molto materiali. Da che mondo è mondo il fine principale della politica, ben prima del governo delle genti, è la preservazione della vita. Non ci pare che quello che in questo Paese hanno fatto e continuano a fare le destre sulla lotta alle dipendenze dimostri quest'assunto: la gente continuerà a morire di droga, i trafficanti continueranno ad arricchirsi e il popolino continuerà ad avere in pasto qualche succulento boccone di cronaca nera locale. Anche la Monacelli, con la sua proposta, si iscrive di diritto a questa brutta temperie.

Anziché indagare il fenomeno delle dipendenze senza sociologismi di maniera e senza la presunzione di avere la verità in bocca, bisognerebbe innanzitutto comprendere esso come un fatto che necessita di un ventaglio di risposte e di interventi amplio e flessibile. Tra le cause di questo fenomeno largamente trasversale ve ne è una su tutte ed è tutta dentro la cosiddetta e presunta modernità della nostra società. La solitudine, la disperazione sociale ed individuale, la paura di non essere sé stessi, la libertà di scelta, la presunta governabilità delle conseguenze nell’assunzione di droghe, il mito della performance sociale, professionale, relazionale e sessuale, il divertimento irresponsabile, la facilitazione dello stare insieme, le scorciatoie dell’alienazione di sé, la foga di provare, il consumare tutto e comunque, la nostalgia, la stessa disponibilità economica possono essere tutte le cause materiali e morali del diffondersi di questo fenomeno nelle società moderne, singolarmente, miscelate in diverse gradualità o finanche tutte insieme.

E’ per questo che ogni intervento sul fronte del consumo bisognerebbe pensarlo come flessibile: sì anche la repressione quando occorra e non se ne possa fare a meno ma, soprattutto, la prevenzione. Di tutta la società e di tutte le sue istituzioni, a partire dalla famiglia e dalla scuola, ma senza indulgere allo stigma ipocrita del “drogato”, alla doppia morale che vuole questo testato fin dalla giovane età o dopo in galera e salvi i camorristi che siedono in Parlamento o alla rappresentazione spettacolare, questa sì oscena, del tutto è possibile per piacere e fare successo propinata a piene mani dalle nostre televisioni, che piangono e fanno piangere lacrime di coccodrillo quando ci scappa il morto o che agitano la galera per i tossici ma sono indulgenti per le cricche che possono fare di tutto, nella loro privacy.

Meno moralismi dunque e più fatti concreti, non proposte presuntuosamente shockanti ma interventi flessibili, non test ma più coraggio nel dipanare un fenomeno per cui la legalizzazione potrebbe interrompere da una parte la diffusione delle droghe pesanti e dall’altra utilizzerebbe un’arma in più per combattere la droga sul fronte dell’offerta, ovvero nella produzione e nel traffico di cui sono protagonisti le grandi organizzazioni criminali o i signori della guerra, come in Afghanistan, compresi quelli aiutati dalle nostre truppe.

Quelle stesse organizzazioni criminali che, come le inchieste e gli arresti recenti testimoniano, vanno sempre più infiltrandosi nei gangli della nostra economia e della nostra società anche in Umbria. Un fenomeno molto serio e di una pericolosità sociale senza precedenti, verso il quale non registriamo un allarme corrispondente a quello sul consumo di droghe o sulle notti perugine dello sballo studentesco negli strali delle classi dirigenti di maggioranza e di opposizione, se non pochi casi isolati. E’ infatti noto che gran parte di quei soldi che si fanno grazie ai traffici vengono tutti ripuliti e riciclati in attività economiche e finanziarie nei vari settori dell’economia.

Consigliamo Sandra Monacelli di andarsi a leggere Tolstoij, un buon cristiano, che, per quanto visse in altre epoche, sulla droga e sul perché la gente si droga dava delle spiegazioni ben più lucide di quelle che dà oggi la consigliera regionale UDC o tutti coloro che sul fenomeno hanno la stessa cieca presunzione di dare delle risposte univoche, repressive e, soprattutto, inconcludenti.

La Monacelli forse troverà che ne sarà valsa la pena: un uomo, nella società, stenta ad essere autentico, non riesce a dispiegare completamente e liberamente la sua umanità più profonda, tutto il suo potenziale di uomo, tutta la sua capacità. Spesso ricorre a delle scorciatoie compresa la droga pensando che essa possa liberare la mente dal corpo in catene, ma non si accorge che così mortifica il suo corpo ed aliena il suo spirito. Finito l’effetto, il corpo, ancora più debole, resta in catene e la mente si scoraggia ancora di più.

Ecco, la pensiamo esattamente come Tolstoij. E’ per questo che la droga, oggi, continuerà a dilagare, fintanto che non si rimuovano le cause dell’inautenticità dell’uomo e della sua alienazione, fintanto che non si osa più immaginare un mondo in cui la libertà vera dell’umanità si dispieghi pienamente e a beneficio di tutte e di tutti, in fraternità.

Nel frattempo, però, non si può restare fermi e, nell’attesa non inerte per dei tempi nuovi, occorre almeno ridurre il più possibile i danni della droga, preservando la vita dei giovani con delle politiche concretissime ed all’altezza delle problematiche, con scelte coraggiose e non solo propagandistiche: la sinistra non può non rimettere nella sua agenda la legalizzazione delle cosiddette droghe leggere e, nell’immediato, una politica che rafforzi i servizi pubblici per le dipendenze e l’integrazione delle responsabilità sociali, educative, sanitarie, familiari. Una politica che anziché urlare o fare a gara per chi la spara più grossa, non lasci soli gli individui alla mercè della loro dipendenza e non lasci sole le famiglie a combattere contro il “male oscuro” dei figli o dei loro stessi genitori.

Ed è questo ciò che succede nella quotidianità, ordinariamente, nonostante i talk show piagnucolosi della doppia morale di cui la politica delle varie Monacelli ne scimmiotta i vezzi e nonostante una cultura repressiva dilagante ma ipocrita ed inefficace.

Gianluca Graciolini

Capogruppo Prc Gualdo Tadino


 

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