di Giso Amendola - Se si vuole un buon esempio dei discorsi feroci che riesce a produrre l'area "moderata", apparecchiandoli sempre con apparente buon senso, e che invece normalizzano appunto la ferocia, spalancando così le porte alla reazione, basta vedere con quale tranquillità ora si enuncia che il governo avrebbe sbagliato perché, invece di pasticciare con l'espulsione, sarebbe bastato opporre un pulito "segreto di Stato", una sicura "ragion di Stato", riportando il caso Almasri al realismo del rapporto tra Stati.

In questa vicenda, non è in ballo la correttezza procedurale né la trasparenza: in questa vicenda è in questione una politica razzista di controllo delle migrazioni, confermata e proseguita da questo governo su una consolidata tradizione. Questa politica si scontra con quel "contenuto sedimentato" di diritti, prodotto dalle lotte per i diritti umani, per la libertà di movimento e di circolazione, per il diritto di fuga, che anima il diritto sovranazionale. È in nome della difesa di quella politica criminale che il governo muove allo scontro con la giurisdizione sovranazionale. Altro che invocare un corretto segreto di stato o la "ragione degli stati" nelle relazioni internazionali come modo pulito di evitare l'intrigo: qui, al contrario, non ci può essere altro che una rigorosa denuncia della natura criminale delle nostre politiche migratorie, e il netto sostegno a quanto, nelle giurisdizioni sovranazionali, protegga i diritti fondamentali contro la loro negazione. Chiamare i crimini contro i diritti fondamentali delle persone "ragion di Stato" non è realismo, è solo spalancare le porte alla reazione, normalizzando l'oscenità nazionalista.

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