Autonomia Differenziata di Attilio Gambacorta
L’autonomia differenziata non è altro che il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.
Le materie comprese nel DL riguardano i rapporti internazionali, compresi quelli con l'Unione europea, il commercio con l'estero, la tutela e sicurezza del lavoro, l'istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, l'alimentazione, l'ordinamento sportivo, la protezione civile, il governo del territorio, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la comunicazione, l'energia, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cultura e l'ambiente, le casse di risparmio e gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
La concessione di “forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni a statuto ordinario sono previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che sottolinea come possano essere attribuite “con legge dello Stato su iniziativa della regione interessata”. Questo comma però non è mai stato attuato, soprattutto a causa delle grandi differenze economiche e sociali tra regioni, che rendono particolarmente delicata, e potenzialmente dannosa, l’approvazione di leggi in questo senso.
Uno dei punti più contestati della proposta, infatti, è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, conosciuti come Lep, che in base alla Costituzione tutelano i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini. L’entità di questi finanziamenti andrebbe stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente.
Ma secondo il disegno di legge, che dà al governo un anno di tempo per decidere i Lep, le regioni potranno formulare un’intesa anche senza il decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei Lep, distribuendo così i finanziamenti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui chiede l’autonomia.
Ed è questo il punto al centro delle contestazioni, e che giustifica il termine di “secessione dei ricchi”, perché assicurerebbe maggiori finanziamenti alle regioni del Nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta, e meno a quelle del Sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa. In questo modo, si accentuerebbero ancora di più le disuguaglianze tra i due poli del paese.Su Repubblica, Luca Bianchi, il direttore del centro di ricerca Svimez sul divario regionale, ha criticato il disegno di legge di Calderoli proprio sostenendo come la definizione dei Lep si attende da “oltre venti anni” e fino a oggi hanno “cristallizzato i divari di servizi nel nostro paese”. Inoltre, sempre secondo Bianchi, l’autonomia colpirebbe gravemente il sistema scolastico con “un vero processo separatista” in cui si avrebbero “programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati”.
Critica sostenuta anche dalla sociologa Chiara Saraceno sulla Stampa, secondo cui “nei decenni trascorsi dalla riforma costituzionale che ha introdotto l’autonomia regionale non si è ancora riusciti a definire i Lep”. Il ministro Valditara vuole aumentare gli stipendi agli insegnanti che lavorano dove il costo della vita è più alto, tramite finanziamenti privati. Per i critici è un modo per accrescere le disuguaglianze e penalizzare i docenti che lavorano in contesti difficili.
Un altro punto al centro delle contestazioni, esplicitato dal docente di economia Paolo Balduzzi su Lavoce.info, è che nel disegno di legge non viene richiesto alle regioni di avere “i conti in ordine” o di non essere stata “commissariata in precedenza per la gestione delle materie di cui fa richiesta”. E tra queste si trovano l’istruzione, la sanità, la produzione di energia e la tutela dell’ambiente, tutti ambiti particolarmente delicati e a rischio.
Ma la mia considerazione politica a questa pericolosa contro riforma è quella che si vuole di nuovo colpire la nostra costituzione, il patto di cittadinanza che regola i rapporti fra i cittadini e le istituzioni, il principio di uguaglianza voluto fortemente dai “Padri Costituenti” e sancito ufficialmente ed irreversibilmente dall’articolo 3 della Costituzione.
Ma la Costituzione è stata il pensiero fisso dei suoi detrattori fin dal 1948, anno in cui è entrata in vigore. E questi detrattori sono principalmente esponenti politici dell’estrema destra, servizi segreti deviati, logge massoniche, aristocrazia sociale. Era un gruppo eversivo di destra Gladio, sono stati i servizi dello stato a concepire “il piano solo”, coadiuvandosi delle frange politiche dell’estrema destra; e così la strage di Piazza Fontana, dell’attentato all’Italicus, del tentato colpo di stato “Borghese”, della carneficina di Piazza della Loggia a Brescia e della stazione di Bologna, per continuare con la vicenda del rapimento di Aldo Moro ed altri eccellenti omicidi avvenuti negli anni ottanta e finire con le stragi di Capaci e di Via Amelio, dove rimasero uccisi Falcone e Borsellino. La famigerata “trattativa stato mafia” è solo un capitolo di questa tragica storia del nostro Paese.
Ma fino agli anni settanta abbiamo avuto degli anticorpi a questi cancri sociali e politici: un forte sindacato, un forte partito comunista, una sinistra radicata ed egemone che hanno saputo difendere le istituzioni democratiche e respingere con forza i pericolosi attacchi dell’estremismo nazionalista.
La vicenda di Aldo Moro rappresenta un vero colpo di Stato e questa volta riuscito con la complicità di un terrorismo rosso equivoco ed ancora da indagare per capire la vera natura di quelle azioni che servirono solo a dare inizio ad una crisi irreversibile del sindacato e della sinistra. I cancelli di Mirafiori e la sconfitta che ne seguì rappresenta emblematicamente questa crisi.
“il piano di rinascita”, manifesto politico della P2, si è a mano a mano realizzato: controllo della stampa, riforma elettorale, riforma della Stato, concentrazioni economiche e centralizzazioni del management.
È quindi a questo filone che va collegato questo ennesimo attacco alla nostra legge fondamentale, questa volta con un salto di qualità: la dissoluzione dello stato unitario. A questo infatti porterebbe l’autonomia differenziata, ma l’Italia non è un’espressione geografica, lo stivale è intero.
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