PERUGIA - Siamo figlie e figli del 1978, momento epocale di una vera e propria battaglia sociale, costellata da manifestazioni e proteste, imperniata su autodeterminazione e coscienza di sé, frutto di una rivoluzione culturale e sociale che in quegli anni ha coinvolto e in parte sconvolto una società in forte mutamento.

Siamo figlie e figli della Legge 194, che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso alla pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza, fino a quel momento fuori legge, e dunque appannaggio di mammane e cucchiai d’oro, oppure di impropri e pericolosi rimedi casalinghi.

La Legge 194/78 sancisce il diritto della donna ad interrompere la propria gravidanza in regime di sicurezza, muovendosi nell’ambito del sistema sanitario nazionale, in tutela della propria salute presso strutture mediche specializzate, con l’intervento di medici professionisti e nel rispetto delle norme sanitarie e igieniche, squarciando un velo di ipocrisia, dolore e vergogna, e portando ad una forte diminuzione del numero di aborti clandestini, da sempre fonte di pericolo per la salute della donna.

A più di quarant'anni dalla sua adozione, tuttavia, il pieno accesso all'interruzione volontaria di gravidanza come prevista dalla legge resta ancora da garantire ed attuare: secondo i dati forniti dal Ministero della Salute e dalla Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'Applicazione della Legge 194 (LAIGA), poco più della metà degli ospedali italiani prevede il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, il che significa che il resto delle strutture ospedaliere sarebbe pertanto non in conformità con quanto previsto dalla legge. Invece, sempre troppo alto risulta il numero di obiettori all'interno del personale medico italiano, che raggiunge in media perfino il 70%, percentuale assai elevata anche nella nostra regione per tutte le professioni sanitarie.

È evidente insomma come, nonostante sia passato quasi mezzo secolo da questa importante legge di civiltà, siano ancora tanti ad oggi le criticità e gli ostacoli che si riscontrano in molte strutture

ospedaliere, e che spesso non permettono un’attuazione piena e concreta della libertà di scelta e di autodeterminazione della donna. Rispetto a questo quadro, la nostra regione non fa eccezione.

Dalla fine degli anni Ottanta, è in uso in Europa l’utilizzo di farmaci per l’interruzione volontaria di gravidanza, autorizzati in Italia con questa indicazione solo dal 2009. Le linee guida delle società scientifiche di molti Paesi europei prevedono la possibilità per la donna, a seguito di consulenza e prescrizione medica, di utilizzare i farmaci previsti anche nel proprio domicilio. Nel nostro Paese, per la IVG farmacologica, vengono effettuati dai 2 ai 4 accessi in ospedale e spesso anche il ricovero ospedaliero di 3 giorni.

Anche e soprattutto rispetto a questo quadro, la nostra regione non è antesignana. Ad oggi, infatti, sono pochissime le strutture sanitarie ed ospedaliere presenti sul territorio umbro che

prevedono interruzioni volontarie di gravidanza farmacologiche, e non esclusivamente chirurgiche, che hanno un impatto psicofisico sulla donna completamente differente e assai più pesante. Invece, in caso di aborto farmacologico, che avviene tramite l’assunzione della pillola RU486 e 48 ore dopo di prostaglandine, si attua un processo in varie tappe che garantisce una minor invasività, ma anche una maggiore consapevolezza e presa di coscienza da parte della donna. Risultato: circa il 5% delle donne ricorre all’IVG farmacologica, tutte le altre si affidano alla via chirurgica.

Ma d’ora in avanti, grazie alla Giunta Tesei, quel 5% diventerà una percentuale ancora più bassa.

La Giunta regionale, con apposita delibera, ha scelto infatti l’obbligo di ospedalizzazione forzosa di almeno tre giorni, rendendo volutamente ad ostacoli il percorso per ottenere l’opzione farmacologica, aumentando le spese del sistema sanitario regionale e, in epoca Covid, allungando paradossalmente le degenze. Ciò significa che, da ora in poi, i reparti autorizzati a mettere in atto la procedura di IVG farmacologica, quelli di Pantalla e poi, dopo il Covid, quello di Umbertide, oltre che di Orvieto e Narni, chiuderanno a breve, allungando ulteriormente i tempi per le IVG chirurgiche, che già adesso fanno registrare oltre tre settimane di attesa.

Un atto grave, strumentale e colpevole, che renderà ancor più difficile la vita delle donne, la loro libertà, la loro autodeterminazione, attraverso la privazione del diritto a scegliere il metodo meno invasivo di interrompere una gravidanza.

Ma ciò che la Lega plaude, difende e incoraggia, noi invece stigmatizziamo, condanniamo, e soprattutto combattiamo.

Con questo atto la presidente Tesei avrà la responsabilità storica di aver riportato indietro le lancette della storia ai tempi in cui venivano negati i diritti delle donne, al solo scopo di assecondare il volere dell’ultraconservatore Senatore Pillon, suo collega di partito. Ma nessun tema, soprattutto quando si parla di diritti di civiltà, può essere ostaggio di pregiudizi ideologici, posizioni antidiluviane, e di esponenti di spicco di partiti politici desiderosi di fare i conti con un universo femminile per i loro gusti fin troppo emancipato, quando invece è ancora, sempre troppo, oggetto di schernimento, ingiustizie e violenza.

Ci troverete sempre dalla stessa parte. Dalla parte delle donne, per le donne, con le donne.

Le democratiche e i democratici dell’Umbria

Aderisci anche tu alla petizione: https://bit.ly/2N79Pex

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