2019, l'anno di Mattarella
L'anno che è appena iniziato sarà, con ogni probabilità, l'anno di Mattarella. Secondo alcuni commentatori, fra cui pure chi scrive, lo è stato anche il precedente; tuttavia, non c'è dubbio che questo lo sarà ancor di più. E lo sarà ancor di più perché, con il discorso di fine anno, falsamente approvato sia dalla maggioranza che da buona parte dell'opposizione, il Capo dello Stato ha definitivamente accantonato la funzione arbitrale che si era attribuito all'inizio del settennato e si è trasformato, a tutti gli effetti, in un attore protagonista della scena politica.
Non che Mattarella sia un presidente da moniti o incline a qualsivoglia forma di forzatura o di presenzialismo; fatto sta che lo stato delle cose non gli consentiva prima e ancor meno gli consentirà in futuro di imprimere al proprio ruolo quel taglio quasi notarile che secondo la Costituzione dovrebbe avere.
L'interpretazione gronchiana della presidenza, per intenderci, non è possibile ai tempi del sovranismo, del populismo spicciolo, delle continue dirette social da parte di personalità che dovrebbero esternare di meno e lavorare di più, degli scontri con l'Europa e delle continue manomissioni della natura parlamentare della nostra Repubblica.
Mattarella, più nolente che volente, dovrà pertanto tenere a galla una nave che sta rischiando da tempo di affondare, vittima dell'imbarbarimento della società nel suo complesso e di una sfiducia mista a disincanto che rischia di costituire una miscela esplosiva per la tenuta dell'intero Occidente. In Italia, tutto ciò è aggravato dalla mancanza di un'opposizione all'altezza, dalla crisi, che personalmente reputo irreversibile, del Partito Democratico e del suo progetto fondativo, dalla necessità per la sinistra di ripensarsi e ricostruirsi su basi completamente nuove rispetto ai capisaldi che l'hanno animata negli ultimi trent'anni e da una palese volontà collettiva di lasciarsi andare e di affrontare la vita giorno per giorno, senza sogni, senza prospettive, senza ideali né un indirizzo chiaro e concreto per quanto riguarda il futuro.
Del resto, cosa c'è alla base del contrasto fra alcuni sindaci virtuosi e rispettosi della Costituzione e un ministro degli Interni che passa le giornate in giro per la Penisola a fare comizi, dirette Facebook e a mangiare arancini se non Il confronto stridente fra persone che guardano al domani e alla costruzione dell'Italia in cui vivranno i nostri figli e nipoti e un uomo il cui orizzonte non va al di là delle prossime elezioni?
Cosa c'è nei cedimenti, nelle retromarce e nei veri e propri tradimenti del M5S nei confronti della propria storia e dei propri valori se non Il pervicace desiderio di rimanere aggrappati ad un potere chd vedono sfuggire loro di mano ogni giorno di più?
Questa politica che non sa costruire perché non ha abbastanza profondità, senso della complessità e amore per il prossimo, questa politica muscolare ma in sostanza fragilissima, questa politica spesso squallida è lo specchio del declino in cui versa il nostro Paese e l'Occidente nel suo complesso.
Guardandoci intorno, poi, c'è davvero poco da stare allegri, se si pensa che il 2019 potrebbe essere ancora l'anno del deleterio e guerrafondaio Netanyahu in Israele mentre sarà di sicuro l'anno di un presidente come Bolsonaro, una delle persone peggiori che ci siano su questa Terra, intriso di idee spregevoli e pericolose, il quale in pochi giorni ha già lasciato intendere che il suo governo, oltre che dittatoriale, sarà anche violento, gratuitamente malvagio e nemico delle fasce sociali più deboli e svantaggiate. Insomma, sarà catastrofico sotto ogni punto di vista, a cominciare dai danni che arrecherà all'ambiente e al patrimonio forestale dell'Amazzonia, uno degli ultimi polmoni verdi rimasti al mondo.
D'altronde, tutto ciò è dovuto al fatto che in America è al governo un altro personaggio che si commenta da solo, convinto che il Sud America sia il proprio cortile di casa e che abbia senso condannare un numero spropositato di lavoratori a rimanere senza stipendio per via di un'insulsa impuntatura su un inutile muro al confine con il Messico, la cui unica conseguenza sarà agevolare la criminalità messicana, una delle più feroci in assoluto, senza riuscire ad impedire un solo ingresso negli Stati Uniti.
E poi sarà l'anno del disvelamento: molti comprenderanno che la Brexit è stata un colossale errore, che Macron non è un liberale o un innovatore ma semplicemente un megalomane che si crede De Gaulle quando non vale nemmeno Rocard, che la Merkel è ormai uno dei pochi statisti rimasti in Europa, purtroppo a fine corsa, e che i soli tre paesi in cui, probabilmente, la desta xenofoba avrà vita dura saranno la Grecia, la Spagna e il Portogallo, tutti e tre casualmente guidati da veri governi di sinistra. Insomma, nell'anno che è appena iniziato ci accorgeremo tutti o quasi delle innumerevoli balle che ci sono state ammannite per un trentennio e di quanto sia urgente un radicale cambio di rotta e di paradigma per evitare che questo pianeta già guasto da tempo esploda definitivamente.
Il 2019, infine, sarà anche l'anno di alcuni importanti anniversari, primo fra tutti quello dell'euro, la nostra moneta unica che all'epoca venne accolta con incredibile entusiasmo. Ero un bambino, ma ricordo ancora "Il mio primo euro" distribuito da Topolino, l'annuncio del cambio con la lira, l'elezione di Ciampi al Quirinale, la nomina di Prodi a presidente della Commissione europea, la dirompente passione civile e politica che caratterizzava, a quel tempo, il nostro Paese e le speranze e le prospettive di una generazione, la nostra, che in quegli anni vedeva a portata di mano un mondo senza confini e senza barriere, con i ponti al posto dei muri che avevano insanguinato il "Secolo breve" e nessuno che, di fronte a un discorso del genere, si azzardasse a parlare di affermazioni retoriche.
Vent'anni di euro nell'anno in cui rischiamo di giocarci l'Europa: sta soprattutto a noi giovani impedire che il finale che molti ipotizzano si concretizzi e che possa, invece, aprirsi una nuova stagione europea nel segno del dialogo, del confronto e della solidarietà, in linea con le aspirazioni dei padri fondatori e in netto contrasto con le aberrazioni dei Barroso, degli Juncker e di tutti coloro che hanno favorito l'ascesa degli xenofobi da cui oggi pretendono di metterci in guardia.
Per fortuna, ci sono rimasti il presidente Mattarella e papa Francesco, entrambi dotati del coraggio necessario per ricordare a un'opinione pubblica incattivita che i buoni sentimenti, la dolcezza, la mitezza, la bontà d'animo e persino il candore e la purezza non sono roba da deboli o da ingenui ma i capisaldi del nostro vivere civile, le sole armi democratiche che abbiamo per riemergere dal mare di melma nel quale siamo sprofondati.
La saggezza laica e la saggezza cattolica, benché anche il presidente Mattarella sia profondamente credente, ci indicano la strada. Ne avremo un crescente bisogno.
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