“Da ragazzo sognavo di diventare calciatore”
Elio Clero Bertoldi
Confesso: me lo ero dimenticato. Completamente. Colpa grave, imperdonabile, per chi ha letto e tiene in biblioteca, religiosamente, quasi tutti i libri di Luis Sepulveda. Una patina di oblìo che l’amico Sabatino Durante, procuratore Uefa, ha spazzato via mandandomi, a sorpresa, tramite Wattsup, un ritaglio di giornale - il Corriere Dell’Umbria - datato sabato 19 settembre 2009.
Raccontavo, in quell’articolo dimenticato, la presenza a Perugia dello scrittore cileno e di una sua serata a tavola, con Durante (il quale fin da allora viveva sei mesi l’anno, per scovare talenti calcistici, in Sud America), con l’allenatore Federico Giampaolo (allora sulla panchina del Siena), con Milan Rapajc (ex calciatore del Grifo e ormai diventato imprenditore di grido in Croazia). L’invito a cena era scaturito casualmente, in quanto Giampaolo, appassionato lettore e ammiratore dello scrittore, era venuto appositamente nel capoluogo umbro per ascoltare Sepulveda, in occasione della presentazione di un suo romanzo, alla sala dei Notari.
Quella sera a tavola - nel ristorante La Taverna di via della Strega - davanti a portate del tutto particolari per il gusto e le abitudini gastronomiche dell’ospite (che comunque gradì molto la novità dei sapori dell’Umbria, tra cui qualche bicchiere di Sagrantino - che non conosceva - e Decugnano dei Barbi, già degustato), Sepulveda confidò ai commensali, tutti calciofili, che, da ragazzo, avrebbe voluto diventare calciatore professionista. Chiese molte informazioni, a Sabatino, in particolare su Perugia e sull'Umbria, sulla Sala dei Notari, sul Collegio del Cambio, sui monumenti medioevali ed etruschi della città. Poi tornò a parlare della potenza irresistibile del calcio, rivelando due aneddoti.
Il primo riguardava la sua esperienza di quasi sette mesi trascorsi tra gli indios della tribù degli Shuar, che vivono nel profondo della foresta amazzonica (tra Ecuador e Perù, insediati tra i fiumi Rio Paute, Zamora, Upano). Questo popolo, che ha resistito agli Inca prima e agli Spagnoli poi, coltiva un modo di vivere molto rispettoso della natura. Ecologista, in senso pieno. E per questo molto amato e rispettato da Sepulveda.
“Un giorno - disse - arrivarono due tedeschi nel villaggio. Ed io chiesi ad un indios se avesse mai sentito parlare della Germania. Mi rispose: “Beckenbauer”. Conosceva il nome del capitano della mitica Germania, campione del mondo”. Incredibile sorpresa, a considerare la lontananza degli indios dalle modernità.
La seconda vicenda, ad Ankara.
“Mi trovavo in Turchia - spiegò Sepulveda - dove ero andato per cercare un traduttore per un mio libro da volgere in lingua turca. Scoprii, più tardi, che la prescelta per questo compito era la moglie del presidente del Galatasaray. Una sera mi proposero di andare a prendere un caffè al bar dello stadio. Pensavo ad un locale della struttura sportiva. Invece mi servirono un caffè in mezzo al campo di gioco, con tutte le luci accese. Una sensazione indimenticabile”.
In particolare per chi, come lui, da piccolo sognava di fare il calciatore. Confidò, a quel punto, ai commensali che fino ai diciotto-venti anni aveva militato in una squadra in cui giocava in un ruolo d’attacco. Una sorta di trequartista, di numero 10. Cioè la quintessenza dell’arte pallonara. “Smisi - raccontò - per amore di una ragazza. E così il calcio perse un grande attaccante”, e giù una poderosa risata. Il mondo guadagnò, tuttavia, un grande, grandissimo scrittore. E di sicuro, nel cambio, non ci ha rimesso.
Piuttosto chissà se quella ragazza fosse Carmen Yanez... I due si incontrarono quando lei aveva quindici anni e lui diciotto. Ebbero un figlio, Carlos Lenin, ma la loro relazione finì dopo le lotte politiche, il carcere, le torture, le vite stravolte di entrambi. Si incontrarono e si sposarono di nuovo, in Germania, ad Amburgo. Erano trascorsi molti anni ed i due venivano da altri matrimoni, da altre esperienze. Però la scintilla, le affinità elettive, la letteratura (lei é poetessa), la visione del mondo, la passione, li riunirono e legarono di nuovo.
La vita a Gijon, nelle Asturie, in Spagna avrebbe dovuto rappresentare, nelle intenzioni della coppia, un “buen retiro”. Invece il Coronavirus ha stroncato l’esistenza dello scrittore, lasciando vedova Carmen. E pure gli amanti della letteratura.
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