Viva il 25 aprile: la festa di un popolo libero e democratico
Nella ricorrenza del 25 aprile, in cui in tutta Italia, si celebra la festa della liberazione e della libertà, rendo onore ai partigiani che hanno combattuto gli invasori tedeschi a prezzo di enormi sacrifici, mettendo a rischio la propria vita.
In particolare i membri della mia famiglia: Ettore Mattioli e i figli Marsilio e Settimio che generosamente hanno combattuto nella brigata F. Innamorati che ha operato, al comando di Mario Taba, nella zona di Monte Malbe.
Voglio ricordare, inoltre, alcuni episodi della vita di Armando: un giovane combattente, democratico, antifascista e uomo della sinistra.
In ricordo di mio padre.
In questa primavera del 2022 ricorrono sia i cento anni dalla nascita sia i trenta anni dalla morte di Armando Mattioli.
Una grande figura di uomo, padre e combattente: è stato decorato con due croci al merito di guerra, che ho già in parte descritto nel mio primo libro “L’Insoglio”: storie di uomini, di vita e di caccia”.
Ora intendo sottolineare altri aspetti della sua personalità, molto complessa, ricca di spunti politici e sociali.
Armando, riconosciuto da tutti, è stata una personalità prominente all’interno della famiglia e dei posti in cui ha abitato.
Uomo di forti principi politici e morali, appena tornato dalla II guerra mondiale e dalla prigionia in Polonia, ha cercato subito di superare la sua condizione e andare oltre.
Per prima cosa ha completato un ciclo di studi, poi ha intrapreso diversi mestieri per il sostentamento della famiglia.
Da sempre uomo della sinistra, si è impegnato attivamente nel territorio sia nel referendum per la repubblica sia nelle elezioni del 1948 a favore del Fronte popolare. Intenso è stato il suo attivismo da attirare le ire del parroco del posto.
Una domenica mattina, e non è stata la sola volta, nell’omelia della messa alle ore 11, in cui la chiesa era piena di parrocchiani, l’ha additato, con un suo amico, come i nuovi ribelli. Pericolosi comunisti e antireligiosi, non solo da respingere per ciò che sostenevano ma anche da emarginare.
Naturalmente tutto questo non scalfì minimamente sia le convinzioni sia l’opera politica di mio padre a favore dei contadini e degli operai e nella difesa dei lavoratori. Niente aveva a che fare con l’Unione Sovietica di cui ampiamente aveva sentito parlare solo dagli ufficiali dell’esercito e nel campo di concentramento durante gli anni della prigionia.
Raccontava soltanto che era stato liberato dai soldati dell’armata rossa.
Molti anni dopo, divenne amico di quel prete che riconobbe il suo errore di valutazione. Restarono in buonissimi rapporti fino alla fine.
Armando s’interessò di politica anche negli anni successivi, ma preferì il livello locale per stare in contatto con la gente del posto, seguire l’educazione e la crescita dei figli e, insieme ai fratelli, intraprendere alcune iniziative commerciali.
Aveva idee tutte italiane sul partito comunista, per niente rivoluzionarie, molto innovative. Secondo lui, democratico convinto, nel tempo sarebbe dovuto lentamente sfociare in una diversa formazione politica di stampo riformatore. Era contrario a ogni applicazione burocratica delle indicazioni della direzione centrale, e convinto sostenitore della svolta di Togliatti a Salerno e della via Italiana al Socialismo da attuare attraverso la piena attuazione della Costituzione.
Sognava fortemente, dopo l’esperienza delle divisioni della guerra, una Confederazione Europea dei Popoli, unita e con una forte guida politica.
Nel 1970 è stato un convinto assertore della piena applicazione della Costituzione e della formazione delle Regioni.
Molto deluso dai forti ritardi di rinnovamento dei partiti comunisti, dalle vicende dell’invasione dei carri armati del Patto di Varsavia nel ‘56 in Ungheria e della primavera di Praga se ne era un po’ allontanato.
Fortemente convinto della strada da percorrere per l’uguaglianza dei sessi, anche se lunga e difficile, e dei diritti delle donne, metteva in guardia dal pericolo che l’eguaglianza non fosse concepita come la possibilità non solo di occupare posti di rilievo ma di assimilarsi agli uomini. La loro caratteristica femminile avrebbe sempre dovuto prevalere su tutte le altre considerazioni.
A distanza di tanti anni dalla sua morte, lui uomo di sinistra, di fede nei lavoratori, nell’uguaglianza, nella cooperazione internazionale, nel libero commercio, sarebbe oggi molto deluso e amareggiato per l’assenza di un partito della sinistra, democratico, moderno, riformista ed europeo.
Essendo stato a contatto con i giovani per molti anni, si aspettava che le nuove generazioni riprendessero in mano il loro destino, verso un avvenire libero e non soggetto ai voleri e agli interessi delle multinazionali.
Amava e sosteneva la Pace. Era contrario a tutte le guerre, anche per esperienza personale e dei suoi fratelli: alla guerra in Vietnam, quelle in Africa, in Libia o in altre parti del mondo. Oggi sarebbe stato contrario alle decisioni del nostro governo di inviare le armi in Ucraina e all’aumento delle spese militari. È stato convinto assertore del superamento dei blocchi militari e dell’uscita dell’Italia dalla Nato, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino.
Ammoniva che tutti gli eserciti creano dolore, rovina, morti, mutilati, disoccupati, fame e sofferenze alla popolazione. Diverse possono essere le motivazioni, ma le conseguenze sono sempre le stesse. La pace, la diplomazia e il benessere sono gli unici strumenti che servono all’umanità.
Questi sono gli insegnamenti che noi figli ci portiamo dentro e che vogliamo ricordare.
Per tramandare la memoria, a breve, sarà appesa una targa in suo onore in una sala del Bar di famiglia a Ferro di Cavallo.
Giuseppe Mattioli
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