di Antonio Torrelli

PERUGIA – Dopo l’”indisponibilità” è l’ora della rappresentanza. I ricercatori lo sottolineano facendo leva su una questione determinante: “Senza il nostro lavoro tutti gli atenei andrebbero al collasso”.

Ad affermarlo è Michele Capurso, ricercatore della Facoltà di Scienze della Formazione, che, in linea a quanto sta succedendo nel panorama nazionale, ha partecipato alla sottoscrizione della richiesta avanzata al Rettore Bistoni.

“Dopo il passaggio del decreto Gelmini -spiega Capurso- abbiamo ritenuto opportuno chiedere che i ricercatori diventino espressione di una rappresentanza paritaria delle diverse componenti all’interno del Consiglio di amministrazione, cioè che siano posti sullo stesso livello dei professori ordinari, quelli associati e del personale tecnico amministrativo”.

Una modifica che dovrebbe rientrare nel primo passaggio richiesto dalla riforma dell’Università, ovvero la formazione della Commissione incaricata di redigere il nuovo Statuto.

“Noi siamo degli autentici volontari .-prosegue Capurso- e questo sarà l’elemento che porremo in costante evidenza per raggiungere l’obiettivo di rappresentanza dentro il Cda”.

Oltre alla stesura del nuovo Statuto, i ricercatori chiedono che vengano mantenuti i principi attualmente vigenti: l'elezione del Rettore da parte di tutte le componenti (in particolare da parte di tutti i ricercatori) e la partecipazione su base elettiva di tutte le componenti alla formazione degli organi di governo dell'Ateneo (in particolare di Senato Accademico e Consiglio d'Amministrazione, con rappresentanza dei ricercatori pari a 1/3 dei docenti-ricercatori eletti).

Nel frattempo non è giunta ancora nessuna risposta dal Rettore dell’Università di Perugia, il quale dovrà comunque tenere presente che ad operare nella veste di “Professore volontario” sono circa 550 ricercatori, i quali ogni anno sfiorano le 30 mila ore annue. Che per l’ateneo perugino equivalgono ad un risparmio lordo di quasi 4 milioni di euro.

Una forbice troppo ampia. Che ora, dopo le proteste dei mesi scorsi portate avanti sotto il segno dell’indisponibilità allo svolgimento delle attività didattiche, i ricercatori vogliono ridurre per ripristinare quel senso di trasparenza e democrazia interna alle quali l’ateneo non può sottrarsi.

 

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