Termina con un’assoluzione a tutto tondo la ‘graticola’ su cui il procuratore della Corte dei conti, Antonio Giuseppone, aveva piazzato 45 persone tra amministratori e vertici di Regione, Umbria Moblità e Provincia, ai quali la Procura aveva chiesto la restituzione di 44 milioni di euro (corrispondenti ai contributi erogati dopo la crisi di liquidità di Umbria Mobilità esplosa nell’estate 2012: in particolare 17 milioni di finanziamenti, l’aumento di capitale da cinque milioni e il prestito da 3,6 milioni erogato dalla Provincia).

Ma la sentenza della sezione regionale della Corte dei conti, chiudendo il caso, afferma che quegli “apporti finanziari contribuirono alla prosecuzione di un servizio essenziale quale quello del trasporto pubblico locale, attraverso il quale trovano attuazione fondamentali diritti (alla libertà di circolazione, alla mobilità, alla salute e via dicendo), tutelati sia dalla carta costituzionale che dall’ordinamento europeo”. Non solo, ma la sentenza assolutoria, dando ragione alle difese, evidenzia anche l’esistenza del ‘difetto di giurisdizione’.

Una vicenda che aveva avuto un’accelerazione nell’agosto 2017, quando negli inviti a dedurre il procuratore Giuseppone parlava di “numerosi episodi di ‘mala gestio’ che avrebbero determinato sprechi di risorse pubbliche con conseguente danno nei confronti dei soci pubblici della società in questione”, quantificando appunto un danno di 44 milioni di euro.

Ma la sentenza della sezione regionale della Corte dei conti rileva che “la Procura non ha prospettato e dimostrato le condotte, anche omissive, attraverso le quali i soggetti convenuti quali rappresentanti dei soci pubblici abbiano provocato un pregiudizio diretto al valore della partecipazione societaria”. Il danno diretto al patrimonio dei soci dunque non c’è, e neppure un “pregiudizio al valore della partecipazione derivante da condotte anche omissive”. Sempre secondo la sentenza, la Procura “non ha dimostrato l’esistenza di una appropriazione o una distrazione dalla finalità pubblicistica da parte degli organi sociali evocati in giudizio”.

Insomma, tanto rumore per nulla. Solo che, va detto, quando esplose il caso meritò i titoloni di tutta la stampa locale (e non solo). Adesso che c’è un’assoluzione piena i titoli, quando ci sono stati, sono apparsi – diciamo così – in tono assai minore. Non si sa se perché, in certo giornalismo, un indagato o un imputato valgono più di un innocente, o perché c'è una sorta di eccessiva ‘riverenza’ verso i procuratori. Procuratori che hanno un compito difficile e prezioso, agiscono sempre i buona fede ma come tutti possono sbagliare. E quando un procuratore prende una ‘topica’ e la stampa non rende giustizia a livello di immagine a chi è restato - magari per anni – sulla graticola (e con lui i suoi familiari e il suo contesto sociale, perché nei processi non si entra mai da soli, ma inevitabilmente ci finisce il proprio vissuto) si fa una ‘riverenza’ non dovuta, e certamente neppure richiesta dai procuratori stessi.

A chi deve essere uno strumento di controllo del potere (e anche la magistratura è un potere) certe ‘riverenze’ non è che giovino, davanti agli occhi dei cittadini, in termini di credibilità dell’informazione. E questo aggiunge danno a danno.

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